Il 12 dicembre del 1989 andò in onda per la prima volta l’inchiesta di Sergio Zavoli “La notte della Repubblica”, una serie lunga 18 puntate che ripercorreva gli episodi più oscuri del Novecento italiano. Per diversi decenni il timore di un colpo di stato in Italia è stato reale, ma nonostante l’estrema tensione politica, la Repubblica italiana riuscì a reggere grazie alla presenza capillare delle organizzazioni di massa, una società civile evoluta e una democrazia semi-sostanziale, per quanto imperfetta e incompleta, ancora funzionante e ampiamente sostenuta dalla popolazione.
Con la caduta dell’Unione Sovietica e la vittoria delle liberal-democrazie, la minaccia di una deriva autoritaria nei Paesi occidentali sembrò definitivamente scomparire. Eppure, già a partire dagli anni ’70, una serie di fenomeni politici e sociali aveva iniziato a erodere lentamente i vari pilastri delle democrazie liberali, sopprimendo la debole evoluzione della democrazia sostanziale in favore di una meccanismo formale, tendenzialmente oligarchico, ostile alla partecipazione popolare, impegnato a mantenere i rapporti di forza a favore di precise minoranze al comando.
Non si può identificare con precisione l’inizio dell’attuale decadenza, ma il documento della Commissione Trilaterale intitolato “La crisi della democrazia”, pubblicato nel 1975, segnalò senza dubbio un cambio di passo fra le élite occidentali, diventate più propense ad una limitazione del potere popolare a favore di una democrazia tecnocratica. Il cambio di paradigma si intrecciò con la crisi generale del keynesismo, i tumulti geopolitici in diverse parti del pianeta, i rapidi cambiamenti tecnologici e l’ascesa del neoliberismo reale.
Da allora si è assistito ad una progressiva involuzione, con la dissoluzione dei corpi intermedi e la caduta della partecipazione popolare attiva, rappresentata unicamente dal rituale del voto come legittimazione del modello dominante, facilitando la forte concentrazione oligarchica del potere economico, mediatico e politico. Contemporaneamente sul piano sociale e culturale è stato pesantemente incentivato il riflusso verso il privato, l’annientamento delle vecchie ideologie a favore di un’asettica attitudine tecnocratica tardo-capitalistica, ma soprattutto l’estremizzazione dell’individualismo consumista, figlio dell’onda lunga della società dei consumi novecentesca. Insomma, se negli anni Settanta la democrazia rischiava di morire per le feroci logiche della competizione fra i due blocchi, oggi sembra auto-demolirsi con la passiva accettazione delle masse.
La combinazione di questi fattori non basta però a spiegare le recenti derive che vedono ormai anche la democrazia formale sotto attacco, mentre un autoritarismo ibrido si fa avanti senza trovare particolari resistenze. A partire dall’11 settembre 2001 l’imperativo della sicurezza nazionale ha portato a gravi limitazioni delle libertà personali, corrodendo il dibattito pubblico con un uso ancora più spregiudicato e manipolatorio dei mass media. Tale modus operandi, all’origine dei disastri della “guerra al Terrore”, si è saldato con l’insicurezza generale alimentata dalle crisi sistemiche a ripetizione, economiche come geopolitiche, che hanno spento l’ottimismo degli anni Novanta per far posto ad un bisogno costante di sicurezza e stabilità.
Ma più il bisogno è cresciuto, più le democrazie liberali sono diventate meno sicure, meno democratiche e meno stabili, nel generale impennarsi delle disuguaglianze e della conflittualità politica in seno alle élite. La dinamica politica del passato, incastonata nel rigido binario dell’alternanza fra forze di centro-sinistra e di centro-destra, è stata sostituita da una nuova lotta figlia da un lato dei nazional-populismi e della radicalizzazione delle forze tecnocratiche, liberal-centriste, gelose della propria egemonia negli apparati di comando occidentali. La dialettica tossica fra queste forze, tutte protese a garantire, quantomeno a parole, il ritorno dell’Età dell’oro, è alimentata anche dalla perdita di potere del Sistema occidentale sfidato dall’ascesa economica dell’Asia, mentre nelle élite americane ed europee si diffonde la paura di perdere la presa sul mondo.
Se da una parte il fronte interno vede montare un cupo rancore nella popolazione, tradita dalle promesse del passato e dall’incapacità dei leader al comando, dall’altra quello esterno minaccia di concludere definitivamente l’egemonia occidentale. Una cosa inaccettabile per le classi dirigenti, specialmente quelle anglosassoni, che hanno prosperato negli ultimi secoli grazie anche al feroce sfruttamento di gran parte delle nazioni del mondo.
Alcune élite percepiscono la deriva generale del nostro modello di sviluppo e serrano le fila , mostrando sempre meno interesse per la democrazia formale, i suoi pesi, i suoi contrappesi, ritenuti ormai un ostacolo al mantenimento del potere. Altre, in preda a meccanismi tecnologici e mediatici fuori controllo reagiscono in maniera grottesca, approfittando di una vasta massa confusa, atomizzata, sospesa fra la ricchezza materiale fine a se stessa e l’idiocrazia veicolata da mass media e social network, i quali stanno minando profondamente il dibattito pubblico.
Avendo eliminato le forme minime di democrazia sostanziale e qualsiasi opposizione reale, il passo inevitabile sembra lo svuotamento di quella formale, con l’emersione di leader “bonapartisti”, teoricamente preposti a salvare il salvabile mentre le turbolenze planetarie impattano sul primo mondo. Venuta a mancare l’idea di un futuro collettivo e condiviso, le democrazie liberali si evolvono in democrature, dove una rete di oligarchie piega il sistema legislativo, informativo e giudiziario al proprio servizio, promuovendo forze politiche e mediatiche votate a mantenere la legittimità dello status quo. Una fase storica che sta investendo a cicli alterni e con ritmi diversi i Paesi avanzati, con spinte più forti nell’est europeo e negli USA, mentre maggiori resistenze permangono negli altri Paesi europei.
Più le destabilizzazioni si intensificheranno, a partire da quella climatica-ambientale, più la modalità emergenziale-securitaria diventerà la norma generalmente accettata, portando nei casi estremi, in un futuro prossimo, a sopprimere direttamente la democrazia liberale in nome della stabilità interna e della lotta contro il nemico esterno (russo, cinese o altri). Ormai non è un’ipotesi così remota il ritorno di un oligarchismo “feudale” esplicito o addirittura l’instaurazione di regimi militari per fermare il tracollo del vecchio ordine, specialmente se nei prossimi 20-30 anni il modello dominante dovesse vacillare definitivamente.
La democrazia liberale nasce in Occidente ed è figlia di una combinazione di fattori strettamente collegati all’ascesa della Modernità e del Sistema industriale-tecnologico che nel XXI secolo stanno sparendo, mentre le policrisi in corso sembrano annunciare una cambio di paradigma epocale. Una popolazione come quella italiana, che per 78 anni ha vissuto in pace, senza shock estremi, sembra incapace di concepire la fine delle vecchie certezze – esattamente come agli inizi degli anni Ottanta ben pochi pensavano alla fine dell’Unione Sovietica entro un decennio. Ma la velocità del nostro modello di sviluppo e le sorprese della Storia dovrebbero metterci in guardia: il passato non tornerà e forse la democrazia, quantomeno in questa forma, ha esaurito il suo ciclo storico.
Analista e giornalista pubblicista, si occupa di geopolitica, economia, politica e società.