La storia dello scrivere sugli strumenti di guerra, dalla bomba al proiettile d’artiglieria, dall’elmetto al bombardiere, è una storia tipicamente umana. Lo è principalmente per tre motivi: primo, si sovrappone temporalmente alla storia della guerra e quindi alla storia di una componente fondamentale dell’uomo e della donna che si organizzano in società. Secondo, è una storia misteriosa tanto quanto l’essere umano, soggetta ad interpretazioni, che potrebbe significare tutto ed il contrario di tutto. Terzo, è una storia che riconduce in una maniera quasi didascalica la guerra alla sua essenza, un’essenza alla quale – qualcuno direbbe – si deve ricondurre anche la Storia e quindi l’uomo e la donna: un’essenza dialettica.
Prima di lanciarci in un esercizio di comprensione del fenomeno, proviamo a capirne la profondità temporale. Partiamo dall’Atene del 400 a.C.. È questa la datazione (400 BC-1 BC) che fornisce il British Museum per il suo reperto numero 1851,0507.11, ovvero un proiettile di piombo per fionda con sopra l’incisione DEXAI, che dal greco antico può essere tradotto con “prendilo!”. E arriviamo a oggi, all’agosto 2023 d.C. in cui io posso aprire il mio computer e collegarmi a signmyrocket.com, dove ad accogliermi in homepage c’è il messaggio Send your message to the Russian invaders. Dopo il mio pagamento, qualche soldato ucraino quel messaggio lo scriverà su un proiettile d’artiglieria, un missile o altro e io riceverò un video come prova che quel missile con quel messaggio è stato appena sparato contro l’esercito russo.
Nonostante si iniziasse a prenderci gusto già durante la prima, è la Seconda guerra mondiale che ci regala una vera e propria massificazione della scrittura sul missile, contemporaneamente ad una più frequente archiviazione del fenomeno. Addirittura, due delle foto maggiormente iconiche dell’intero conflitto riguardano proprio questa pratica, entrambe con delle dediche ad Adolf Hitler: il sergente William E. Thomas ed il soldato semplice Joseph Jackson, afroamericani, posano con un proiettile di artiglieria con scritto “Happy Easter Adolph (sic)”, mentre in un cesto che ne contiene altri di fronte a loro si legge “Easter eggs for Hitler”; la seconda foto, altrettanto iconica, immortala il soldato Joseph Wald della Jewish Brigade, brigata di fanteria dell’esercito britannico composta da ebrei, con un proiettile di artiglieria con su scritto – in yiddish – “regalo per Hitler”, accompagnato da una stella di David.
Queste, ma non solo. Giusto per dare un’idea di quanto fosse diffuso il fenomeno: c’è Winston Churchill che nel 1945 scrive “A present for Hitler” su un proiettile d’artiglieria mentre è in visita alle truppe canadesi che combattono in Germania; ci sono i soldati dell’Armata Rossa che scrivono i destinatari dei loro proiettili d’artiglieria sugli stessi (per informazione: Hitler, Berlino e Reichstag), con i tedeschi che rispondono scrivendo “altri mille colpi su Mosca” sui loro di proiettili. Oppure, per cambiare il contesto geografico, un aviatore statunitense di stanza in Tunisia che dedica un pensiero ad Erwin Rommel, il feldmaresciallo a capo delle truppe tedesche in Africa, sulle bombe attaccate al suo bombardiere B-25: run Rommel, run!
Piccola parentesi dedicata a casa nostra: già nel 1916 alcuni artiglieri del Regio Esercito Italiano auguravano una buona Pasqua ai colleghi austro-ungarici scrivendolo sui proiettili che stavano sparando verso le postazioni nemiche. Da sempre attaccati alle feste e alle tradizioni, nel 1940 un aviatore italiano di stanza a Shkodra (Scutari durante l’occupazione italiana dell’Albania), posa con delle bombe che formano la scritta “buon natale”. Ancora nel 1940 un soldato italiano viene fotografato mentre scrive i destinatari delle bombe che il Corpo Aereo Italiano sgancerà sulle città inglesi durante la celebre campagna aerea: Churchill, Buckingham Palace, Royal Air Force, Anthony Eden e la Home Fleet. Ma anche “pancetta affumicata” ed il disegno di un ombrello – forse un riferimento al terribile meteo londinese?
Notevole per qualità e temporalità è la produzione dell’esercito statunitense, che ha continuato la pratica anche nelle successive guerre che l’hanno visto impegnato in tutto il mondo. Un soldato in Vietnam scrive destinatario e mittente sul missile che sta maneggiando: “To: Vietcong; From: Raleigh”, ovvero lui. E come non pensare a Full Metal Jacket, la pellicola forse più famosa (da parte statunitense, ovviamente) di tutta la guerra del Vietnam, che propone questa pratica fin dalla copertina: l’elmetto M1 del Sergeant Joker – interpretato da Matthew Modine – con la scritta Born to Kill. Ma non solo Vietnam, anche Corea: “Happy Easter”, “Greetings from PhilCee” e “Listen! To this one it will kill you” sono i messaggi scritti su alcune bombe Mk 84 dall’equipaggio della USS Philippine Sea nel marzo 1951.
Il XXI secolo porta con sé un’importante novità in questo contesto: la polemica. Anzi, lo sdegno. Nell’ottobre 2001 – e quindi nelle primissime fasi della guerra contro l’Afghanistan – l’Associated Press rilascia una foto dove si vede un soldato della marina militare statunitense a bordo della USS Enterprise armeggiare con una bomba GBU-31 JDAM, mentre questa è attaccata ad un cacciabombardiere F-18 Hornet. Sulle bomba si legge una scritta “High Jack this fags”. High Jack this, versione sgrammaticata di hijack this (in italiano “dirottate questo”), è un chiaro riferimento al dirottamento dei quattro aerei da parte di al-Qaeda l’11 settembre 2001. Fags, invece, è slang per l’insulto omofobo faggot. L’uso del termine fags – dopo un comunicato della Gay & Lesbian Alliance Against Defamation – portò a delle scuse ufficiale da parte dell’Associated Press e della United States Navy. Il caso poi conosciuto come Fag bomb segnò un punto di svolta in questa storia: per la prima volta l’inchiostro era più importante della bomba. La prospettiva era appena cambiata.
Terminologia omofoba a parte, il caso della Fag bomb fornisce anche la chiave di lettura della vendetta, un tema da sempre presente nella pratica che stiamo analizzando come nelle teste dei soldati in guerra. Ad esempio i marinai inglesi della Royal Marine che nel 1916 dedicano i proiettili d’artiglieria che stanno preparando a Charles Algernon Fryatt, capitano di una nave passeggeri inglese fucilato illegalmente dai tedeschi mentre si stava muovendo da Harwich alla neutrale Olanda – caso che provocò sdegno in tutta Europa al tempo; infatti, oltre alla dedica, sul proiettile leggiamo la scritta “murderers”, “assassini”. O come il messaggio From Paris with love sulle bombe dell’aviazione statunitense destinate a combattere l’ISIS in Siria, un chiaro rimando agli attentati che colpirono di Parigi del novembre 2015. Ognuno ha da vendicarsi per un qualcosa, e non sempre è qualcosa di serio come un attentato o un’esecuzione illegale: poco dopo la messa in onda del primo episodio della settima stagione di Game of Thrones, un soldato di stanza nella base dell’aviazione statunitense al-Udeid, in Qatar, scrive su una bomba GBU-31 JDAM: “This is for making me miss Game of Thrones”.
E finalmente arriviamo ad oggi. Le novità sono due: la prima è che la guerra si evolve, e così i suoi strumenti. La pratica, però, non cambia né ne risente: nell’agosto 2022 l’esercito ucraino catturaun drone russo con sopra scritto “A Berlino! URSS 2.0”, riferimento alla mitologia dell’offensiva finale dell’Armata Rossa nel 1945 – ma soprattutto il primo caso documentato di scrittura su un drone, un filone appena aperto ma che avrà ampio seguito. La seconda è ancora più interessante: la mercificazione della scrittura sugli strumenti della guerra. Non solo il già citato Signmyrocket.com, dove puoi personalizzare con frasi o foto praticamente qualsiasi cosa capiti tra le mani dell’esercito ucraino – e per qualsiasi cosa si intende proprio qualsiasi cosa, dai colpi di mortaio al Superbonker 9000, un obice semovente pesante comprato con le donazioni al sito e ricoperto di meme del Doge. Ma anche l’incredibile caso dei weeb (appassionate di anime) cinesi che hanno contattato le brigate palestinesi al-Qassam, ovvero l’ala militare di Hamas, promettendo un finanziamento in Bitcoin in cambio di avere la loro anime girl preferita stampata sui razzi dell’organizzazione. “We all love her, and we believe you will love her too”, si conclude la mail che era cominciata con un attestato di simpatia per combattere il sionismo israeliano e l’imperialismo statunitense.
Ora che ci siamo fatti un’idea del fenomeno, come possiamo interpretarlo? Perché gli uomini scrivono sugli strumenti con i quali si fanno la guerra? Cosa ci dice questo sulla guerra, e su di noi? Come si accennava all’inizio, ci sono due letture possibili che indicano due prospettive completamente opposte. La prima è la più scontata: la pratica dello scrivere su una bomba è l’ennesima degradazione del nemico. Non solo cerco di ucciderti, ma ti prendo anche per il culo: ti auguro buona Pasqua mentre ti sparo un colpo d’artiglieria nella trincea, ti mando dei saluti mentre cerco di polverizzarti. Esiste una differenza qualitativa tra il caso della Fag bomb e – tanto per prenderne uno – quello del luglio 2012, quando quattro Marines statunitensi in Afghanistan vennero ripresi mentre urinavano sui cadaveri di veri o presunti talebani uccisi durante un’azione?
Eppure non è tutto così semplice, perché così semplice non è la guerra, l’uomo e l’uomo in guerra. E dunque lo scrivere sulle bombe può essere visto anche come una sorta di ribellione alla guerra stessa, in cui soldati senza nome uccidono altri senza nome: una personalizzazione e un’umanizzazione della guerra. Non un’umanizzazione dell’avversario, ma dell’atto di uccidere. Il messaggio, apparentemente diretto al nemico, in realtà non è per lui ma per chi lo spara. È un tentativo dal basso di combattere la spersonalizzazione della guerra moderna, che James Hillman in Un terribile amore per la guerra riconduce sì all’industrializzazione, ma soprattutto ad una “ontologia materialistica che riduce le qualità a numeri”. Non più numeri, bensì uomini. Uomini miei nemici, ma comunque non numeri. Perché se loro sono numeri, anche io sono un numero.
Se ti interessano le ritualità, i simboli e gli aspetti grotteschi delle guerre contemporanee c’è un numero di Iconografie sul tema: Superbonker. Sulla guerra nel XXI secolo. Lo trovi qui in pdf e qui in cartaceo.

Storico e curatore di Lezione di Nuoto, una newsletter sui fatti del Novecento.