“Vivo la mia vita un quarto di miglio alla volta”
(Dominic Toretto, Fast and Furious, 2001)
di Mattia Salvia
foto: gentile concessione Gabriele Michelizzi / CESURA
Da bambino ero un patito delle auto: leggevo Quattroruote invece che Topolino, andavo in bicicletta fingendomi il protagonista di uno di quei programmi tv di test drive di automobili, con carta e penna facevo un gioco che consisteva nell’impersonare il manager di una casa automobilistica immaginaria, e disegnavo in modo molto accurato le auto (quasi sempre berline di lusso) e gestivo i budget e il lancio dei nuovi modelli. Se lo racconto non è per rendere conto — con faciloneria — della genesi e del tema di questo secondo numero di Iconografie, ma perché, a ripensarci oggi, è notevole che la cultura dell’automobile fosse così pervasiva da entrare nella vita di un bambino tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Le auto sono forse l’oggetto che più ci circonda e che più diamo per scontato, eppure osservare il presente vuol dire trovarsi di fronte a tantissime auto degne di attenzione. I movimenti anti-sistema hanno le loro auto, così come i terroristi (per cui talvolta sono l’unica arma); sono onnipresenti nelle guerre, e la sirena delle ambulanze è stata la colonna sonora della pandemia. I movimenti nazional-populisti — come il trumpismo, a cui abbiamo dedicato il numero precedente — sono particolarmente propensi ad esprimersi tramite le auto, specie se di lusso o grosse e minacciose. Questo numero è un catalogo di esempi delle modalità secondo cui l’automobile viene usata ai fini dell’espressione della propria identità politica, della propaganda, dell’azione diretta, del terrorismo, della guerra: in breve, esplora l’uso “politico” dell’auto. L’idea è nata da un famoso meme – che ho visto spesso girare, espresso in tweet e vignette – che accostava un convoglio dello Stato Islamico e una motorcade trumpista, e rilevava le evidenti somiglianze estetiche tra le due: pick-up e bandiere nere da una parte, pick-up e bandiere statunitensi o blu – della campagna elettorale di Trump – dall’altra. A guidarmi nella ricerca del materiale è stata una domanda di fondo su quali fossero le condizioni di possibilità per queste similitudini. Trumpismo e Stato Islamico sono simili perché usano le auto allo stesso modo, oppure usano le auto allo stesso modo perché sono simili? Le automobili sono solo un elemento estetico, oppure una spia culturale profonda delle loro somiglianze? È un numero un po’ diverso dal precedente, che era in sostanza un lavoro di archivio, selezione e contestualizzazione. Non si presenta come un quadro completo del fenomeno, ma come un insieme di esempi catalogati, di “casi di studio”, sempre introdotti da un lungo saggio iniziale che prova a tirare le fila del discorso. Questa diversità è resa necessaria dalla diversità dell’argomento – da una parte l’archivio di un fenomeno appena concluso, dall’altra la fotografia di un trend che è impossibile fissare in modo definitivo – e questo modo di procedere sarà costitutivo del futuro di questa rivista. Un ringraziamento a Gabriele Micalizzi, fotoreporter di Cesura, che ci ha regalato diverse delle foto utilizzate in questo numero, a partire da quella in copertina.