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Achille Occhetto è stato l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano e il principale promotore del suo scioglimento – evento che ha compromesso l’identità stessa della sinistra italiana, orfana non solo di un partito ma della sua stessa autonomia politica. Trent’anni dopo, abbiamo parlato di cosa resta del socialismo, del ritorno delle masse in politica e del mondo che verrà.

***

Circa un anno fa è morto Michail Gorbachev, l’ultimo segretario del PCUS. La sua morte è stata l’ennesimo simbolo della fine definitiva di un mondo e di un’epoca – il Novecento, l’esperienza del socialismo reale. Partiamo dunque da qui: cosa ha rappresentato a suo avviso la figura di Gorbachev per il movimento comunista? È stato “l’unico comunista buono” come oggi dicono alcuni, o un “traditore” e “liquidatore” come sostengono altri?

Gorbachev è un personaggio tragico che ha intrapreso una missione impossibile: quella della riformabilità del cosiddetto socialismo reale quando ormai era troppo tardi. Quello che sfugge a chi parla di tradimento è che il comunismo era già stato liquidato da tempo, da quando Stalin passò dall’internazionalismo della tradizione socialista alla politica di potenza e alle conseguenti sfere di influenza, sostenuta da un regime autoritario. Io già nel lontano 1968, in una assemblea del movimento studentesco, avevo detto che era necessaria una profonda rivoluzione democratica nei paesi dell’Est; e nel 1989 davanti al massacro di piazza Tiananmen dichiarai che il comunismo in Cina era morto. In quei contesti ho cercato di gettare il cuore oltre l’ostacolo nella generosa illusione che in quei paesi si potesse aprire la strada al vero socialismo, al socialismo democratico.

 

Come ha fatto Gorbachev – entrambi avete cercato di modificare il modello di socialismo che avevate ereditato per fargli prendere una direzione socialdemocratica. Come si spiega che questa svolta, che doveva essere il modo di rilanciare la sinistra, sia stata invece la sua pietra tombale?

L’unica affinità tra me e Gorbachev, e non è poca cosa, è che entrambi siamo stati degli innovatori che volevano salvare le idee fondanti del socialismo dal disonore e dall’irrilevanza, e che entrambi siamo stati poco compresi. Tuttavia la vicenda della Svolta della Bolognina è stata diversa.

Io non ho proposto la Svolta in polemica con la storia del PCI, che già da tempo si era allontanato dal modello del cosiddetto socialismo reale, avendo fatto della Costituzione italiana la base della stessa via italiana al socialismo. La Svolta è stata proposta all’indomani del crollo del Muro di Berlino e dunque era soprattutto legata a un evento mondiale, che cambiava tutti i parametri della politica del Novecento. Non a caso dissi subito: il problema non si pone solo ai comunisti, la campana del nuovo inizio suona per tutti. Una profezia che si è ampiamente avverata: basta vedere il panorama politico che ci circonda, non solo in Italia, ma nel mondo intero: è irriconoscibile. Il mio obiettivo era quello di uscire da sinistra dalle macerie del comunismo. I miei epigoni hanno preferito la scorciatoia della mera governabilità, la strada non dei nobili compromessi – sempre necessari in politica – ma delle compromissioni subalterne.

Ma anche solo pensare che la Svolta della Bolognina sia stata la pietra tombale del comunismo è una bestialità. I partiti comunisti sono scomparsi in tutto il mondo, anche dove non vi è stata alcuna Svolta. A chi lancia anatemi contro la Svolta sfuggono i motivi di fondo della crisi delle sinistre europee, la cui causa fondamentale è stata la successiva subalternità al neoliberismo.

 

E così veniamo agli anni Novanta, quando le masse scompaiono dalla scena della politica. Per ritornare dopo la crisi del 2008, ma in forme distorte etichettate come “populiste”. Il “populismo” non segnala forse il riemergere di istanze dei subalterni in assenza di un’organizzazione politica? Come mai la sinistra non è riuscita a muoversi in questa direzione? Nemmeno quella che si richiama al comunismo, e che oggi è subalterna al liberalismo progressista o a quello conservatore, proponendo un socialismo che è in realtà riformismo socialdemocratico o socialsciovinismo.

Il populismo ha coperto lo spazio vuoto lasciato dalle sinistre subalterne al neoliberismo. Le sinistre o si sono mosse sulla base di vecchi schemi politici, guidate dall’amarcord del comunismo perduto, oppure sono rimaste prigioniere di una visione acritica di una modernità che nascondeva dietro il luccichio dell’innovazione l’insorgere del nuovo baratro planetario della diseguaglianza. Però la sinistra deve riorganizzarsi su una linea opposta a quella populista: non fomentare gli odi e le paure di chi sente tutti i disagi della vita moderna, parlando alla pancia, ma parlando alla testa e indicando un progetto di liberazione umana.

Lo ripeto. Per dare una risposta a questi quesiti bisogna uscire da una visione provinciale, e dall’ossessione del PCI, per collocarli nel contesto internazionale, come dovrebbero fare quanti hanno imparato qualcosa dal marxismo e da Gramsci. È del tutto evidente che la sinistra, in qualsiasi parte del mondo, ha bisogno di un pensiero autonomo.

 

Di fronte al crollo del socialismo in URSS e in Occidente, spicca come controfattuale l’esperienza della Cina. Oggi la dirigenza del CPC è ossessionata dal crollo dell’URSS ed è arrivata alla conclusione che il fattore decisivo del disastro sia stato la mancanza di forze sane in grado di comprendere l’importanza cruciale dell’ideologia. Crede che tali conclusioni possano valere anche per l’esperienza del socialismo occidentale e del PCI?

Forse a questa domanda sfugge il fatto che il PCI non esiste più e che in Cina non si vedono forze sane guidate dall’ideologia ma un regime autoritario guidato da un cosiddetto Partito comunista alla testa di una forma originale di capitalismo di stato che domina su un oceano di diseguaglianza e di povertà.

Per questo invece di pensare solo in modo maniacale e ottuso al passato occorrerebbe avere il coraggio intellettuale di immaginare una nuova sinistra. Partendo, come ho sostenuto nel mio ultimo libro, da un assunto fondamentale, quello per cui se in una democrazia la libertà non coincide con l’uguaglianza di tutti gli esseri umani non basta dirsi democratici. Un assunto che evoca la necessità di una rivoluzione culturale contro le barbarie del mondo, e il mondo è barbaro perché fondato su una disuguaglianza planetaria. 

È giunto il momento di pensare a una società diversa, a una sintesi alta tra questione sociale e questione ambientale nella direzione dell’ecosocialismo. Attraverso l’idea di un socialismo sperimentale, che prenda in considerazione il fatto che oggi le forze che aspirano a una “società altra” sono potenzialmente molto più ampie che in passato. Partendo cioè dal presupposto che il patrimonio scientifico accumulato dall’umanità, invece di essere requisito da pochi dovrebbe essere condiviso da tutto il genere umano. In sostanza, una nuova sinistra dovrebbe collocare in un’unica prospettiva ecologia, lavoro e società. Del resto oggi sono gli stessi scienziati che giungono all’idea di una “società altra” per vie diverse dalle ideologie del Novecento, a partire dalle evidenze della crisi ambientale.


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