Il capitalismo sta attraversando una fase di riforma profonda la cui indagine è al cuore del lavoro di Iconografie. Alex Taek-Gwang Lee ne indaga la meccanizzazione e la sua trasformazione in un grande Netflix.
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La pandemia di COVID-19 non è stata una crisi del capitalismo. Al contrario, ha aggravato i problemi dell’attuale regime di accumulazione. La condizione precaria dei lavoratori essenziali è peggiorata, mentre l’accumulazione capitalista è stata più efficiente di prima. Queste conseguenze contraddittorie della pandemia dimostrano che il capitalismo, per natura, non ha bisogno di lavoratori per raggiungere i suoi fini. La pandemia è dunque non tanto la fine del capitalismo, quanto un altro momento in cui ne emergono i paradossi. E le piattaforme digitali svolgono un ruolo centrale nell’inaugurare il possibile futuro di un capitalismo senza lavoratori – dalle innovazioni tecnologiche sul posto di lavoro a Netflix.
Ciò che vediamo in questo momento è l’esperienza traumatica di una ristrutturazione capitalista. Alcuni critici usano il concetto di “dottrina dello shock” per spiegare come il capitalismo sopravvive attraverso i disastri. La “dottrina dello shock”, per come l’ha formulata Naomi Klein, afferma che “i costi umani della shock therapy” siano progettati esplicitamente per controllare la classe lavoratrice, laddove l’attuale capitalismo dei disastri sembra raggiungere il suo fine cancellando la presenza stessa della classe operaia modificando il lavoro in quanto tale.
Come racconta un articolo della rivista cinese Caijing intitolato “Il mio capo non è umano”, molte aziende cinesi hanno adottato l’intelligenza artificiale per una gestione più efficiente e standardizzata, utilizzando telecamere di sorveglianza in tutti i luoghi di lavoro per registrare comportamenti e attività e sistemi di appello elettronico all’ingresso, trasformando l’intero processo di lavoro in una singola macchina. Il mio punto riguardo a questa versione cinese della gestione scientifica di Taylor non risiede nel fatto che il Grande Fratello orwelliano si sia realizzato, quanto piuttosto nel fatto che lo scopo del sistema sia di modificare i comportamenti umani per adattarli al meccanismo algoritmico. Non esiste un Grande Fratello ma esiste una stupidità tecnologica che cerca di controllare i lavoratori semplificando le loro azioni.
Questi processi scoraggiano qualsiasi mossa imprevista. Tuttavia, i lavoratori seguono le regole, non perché il sistema li controlli strettamente, ma in quanto costretti dalla normalità della nuova gestione scientifica. L’organizzazione algoritmica del posto di lavoro non è un fattore cruciale nelle nuove forme di gestione, poiché il problema è che ci deve essere un decisore invisibile dietro il sistema automatico per risolvere qualsiasi esito accidentale, anche se il meccanismo algoritmico opera senza la presenza di un padrone umano. Il vuoto della sorveglianza è sempre già compreso nel meccanismo e preserva il luogo della resistenza. Il modo in cui rispondiamo passivamente a questi nuovi algoritmi può curiosamente essere illustrato attraverso l’esperienza di guardare Netflix.
Di recente ho visto due film: l’indiano Love per Square Foot (2018) e l’americano Leap Year (2010). È interessante notare come il primo mostra la realizzazione dei desideri della giovane classe media indiana, mentre Leap Year racconta la disillusione di quella statunitense. Love per Square Foot parla di un ragazzo, Sanjay, e di una ragazza, Karina, che lavorano nella stessa banca. Entrambi sognano di possedere la propria “casa”, ma sono costantemente interrotti dalle loro vite personali. Sanjay ha una relazione con la sua capa, Rashi Khurana, che si rifiuta di lasciare il marito, mentre Karina è fidanzata con il suo ragazzo, ma sua madre non la sostiene nel suo sogno di possedere una casa. Tutto inizia a cambiare quando Sanjay scopre di un progetto edilizio che dovrebbe fornire appartamenti a coppie appene sposate. Suggerisce a Karina di richiederlo insieme, lei accetta e il piano è mentire alle autorità dicendo che sono sposati.
Invece Leap Year segue il viaggio di Anna, un’impiegata immobiliare che sta andando a Dublino per fare la proposta a Jeremy, il suo ragazzo, che non le ha ancora chiesto di sposarlo. Sulla strada incontra lo chef irlandese Declan, che la porta in taxi a casa di Jeremy. Come è tipico in ogni commedia romantica i due si scoprono reciprocamente attratti fianco a quando arrivano in albergo e, sorprendentemente, Jeremy fa la proposta ad Anna, solo che lo fa solo per convincere il consiglio di amministrazione del condominio che vogliono acquistare, possibilità riservata solo alle coppie sposate. Delusa, Anna lascia Jeremy e torna in Irlanda dal suo vero amore, Declan.
È interessante notare che questi due film trattano del matrimonio e della casa, le basi materiali della classe media, in modo del tutto opposto. Per la coppia indiana l’alloggio è il compimento necessario al loro amore, mentre l’eroina americana considera la proprietà un finto amore e decide di rinunciarvi per quello vero. Questa differenza rivela che la rappresentazione immaginaria indiana della vita della classe media è l’imitazione del liberalismo americano. Sintomaticamente, Love per Square Foot cancella la realtà indiana della disuguaglianza e propaga l’imperativo neoliberista di gestire se stessi e il proprio benessere. Al contrario, Leap Year si scaglia contro la fantasia della vita borghese americana. La commedia romantica indiana manca di questo elemento di modernismo e tutti i conflitti e le differenze alla fine si riconciliano con l’intera comunità indiana. Nonostante i cliché del genere, Love per Square Foot non è un dramma romantico, ma una riproduzione post-artistica della commedia romantica in senso hegeliano: il film segna la fine di una relazione, in un più ampio re-branding del genere hollywoodiano proprio del cinema non occidentale contemporaneo.. Ma per quanto riguarda Leap Year? Il film sembra elogiare l’autodeterminazione femminile e criticare il consumismo capitalista e l’ethos neoliberista dell’efficienza, tuttavia, i suoi gesti modernisti finiscono per arrivare alla moralità utilitaristica del matrimonio, concludendo che il vero amore deve portare alla forma legale della pianificazione familiare.
Ho trovato entrambi su Netflix che me li ha proposti in successione su base algoritmica. In altre parole, il mio gusto in fatto di film viene letto dalla nuova tele-tecnologia della categorizzazione meccanica, senza la qualenon avrei potuto guardarli con una comprensione comparativa in definitiva regolata dall’intelligenza artificiale. Senza dubbio sono stato “io” a decidere di guardare il secondo film scorrendo i consigli di Netflix, ma non è stata la mia volontà a portarmi a tale scelta La logica di Netflix si basa fortemente sulle mie scelte arbitrarie. Quella sensazione di riluttanza ci fa credere che “possiamo scegliere” o “abbiamo la volontà di selezionare”.
Netflix è un meccanismo privo di un’intelligenza esterna o interna (anche se la si chiama intelligenza artificiale), ma funziona come se noi avessimo la volontà di scegliere qualcosa, riunendo i grandi dati casuali e rendendoli necessari. Quasi per scherzo, Hegel ha già anticipato l’avvento di Netflix nella sua discussione sulla distinzione tra meccanicismo e teleologia. Nella Scienza della logica, Hegel ha sostenuto che “dove c’è la percezione di una finalità, si dà per scontato che un’intelligenza ne sia il suo autore; necessaria allo scopo è quindi l’esistenza libera e concreta del concetto”.
Il fatalismo si oppone alla libertà, e questa opposizione può essere applicata all’opposizione tra meccanicismo e teleologia. La libertà è possibile solo nella sua esistenza concreta. In questo senso, il meccanismo si fonda sull’immediatezza dell’oggettività. Questa immediatezza oggettiva è la stupidità di Netflix. L’algoritmo basato sui big data darebbe forma alle nostre preferenze di scelta, togliendoci qualsiasi “libertà” di scelta. Le macchine algoritmiche, come Netflix, YouTube e Facebook, addomesticano il nostro gusto per gli oggetti e servono come possibile formazione dell’attualità presente. Ironia della sorte, la totalizzazione meccanica dei dati oggettivi ci fa credere che quella sia l’essenza della nostra vita. La teleologia di Hegel differisce da quella di quanti considerano la mente e la soggettività razionale come l’origine degli oggetti. Per Hegel, che sia spirituale o ideale, l’autocoscienza katiana non emerge all’inizio ma alla fine del pensiero e dell’essere. Lo spiritualismo di Hegel presuppone la traumatica “educazione” della spiritualità estratta dai difetti e dagli errori della soggettività. In questo senso, la teleologia di Hegel ci permette di pensare oltre la necessità di meccanismi come Netflix. Lo scopo della tecnologia risiede ironicamente nei difetti del suo meccanismo, cioè nell’esitazione soggettiva, nella nostra riluttante pausa prima della scelta. In altre parole, lì non c’è decisione finale, solo indecidibilità, che non ha l’assoluto altro dall’esterno, ma differisce le differenze dall’interno. L’uso hegeliano della teleologia mira a introdurre un approccio meta-logico all’algoritmo. La concezione hegeliana della teleologia può essere intesa come la prima considerazione dell’odierna automatizzazione. La categorizzazione algoritmica come quella di Netflix rivela come la necessità meccanica serva uno scopo interiorizzato. Anche se il meccanismo sembra automatico, ci deve essere il decisore esitante dietro la macchina.
Nel 1990 Félix Guattari scrisse il saggio Verso un’era postmediale, in cui esponeva le potenziali resistenze nella categorizzazione meccanica dei media. Riflettendo sulle immagini della guerra del Golfo trasmesse in televisione affermava che quelle immagini ci avevano trasportato in “un universo quasi delirante di soggettività massmediatica” che “può esplodere come un parabrezza sotto l’impatto di pratiche alternative molecolari.” Cosa sono queste “pratiche alternative molecolari” dei media? In senso hegeliano, sarebbero possibili con la creazione di un fine nell’uso della tecnologia, mentre Guattari, in linea con Deleuze, sottolinea l’uso “minore” della tecnologia. Il concetto di minoranza implica l’affermazione delle differenze, cioè quelle che non sono sussunte alla generalizzazione della maggioranza. L’uso minore della tecnologia non è altro che la creazione di uno “scopo interiore” ad essa. Il mio incontro accidentale con due diversi film su Netflix e la mia critica a ciò che ho visto sarebbero una delle possibili pratiche che sfruttano l’opportunità sperimentale contro la necessità meccanica.
Ciò che c’è da fare in questo capitalismo dei disastri è affermare la contingenza all’interno del meccanismo e creare uno scopo non categorizzato al di là delle norme della tecnologia algoritmica, progettata per modificare i nostri comportamenti secondo l’automazione meccanica.
Questo articolo è apparso originariamente su Sublation Magazine il 26 Maggio 2022 con il titolo Hegel and Netflix. Si ringrazia Sublation Magazine per i diritti di traduzione.

Filosofo sudcoreano e professore di cultural studies alla Kyung Hee University di Seoul