Il 29 ottobre la regione di Valencia è stata travolta da piogge violentissime e da una serie di inondazioni che hanno fatto centinaia di morti e danni ancora impossibili da stimare: con tutte le probabilità, ci troviamo davanti alla più grave calamità naturale su suolo europeo riconducibile alla crisi climatica, ma facciamo ancora fatica a capire la portata della tragedia e di conseguenza a parlarne. Questa settimana, in concomitanza con la COP29 aperta lunedì a Baku, pubblichiamo un reportage da Valencia dei ricercatori spagnoli Mercedes Burgos Martínez e Borja Pérez Climent.
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Nel corso della storia, il territorio di Valencia ha subito varie inondazioni – tra le più importanti del XX secolo ci sono la pantanà del bacino di Tous nel 1982 e l’alluvione di Valencia del 1957. Per cercare di risolvere questi straripamenti periodici, fu elaborato il Plan Sur, un nuovo tracciato per il fiume Turia, che costeggia il sud della città fino a sfociare nel Mediterraneo. Questo progetto, pianificato e costruito durante la dittatura franchista, ha lasciato il segno sulla pianificazione urbanistica, per cui si è salvato il centro della città ma la periferia è rimasta esposta al pericolo. Pieno di erbacce più che d’acqua, questo nuovo corso è stato un’efficace barriera per evitare l’inondazione della città lo scorso 29 ottobre, ma ha anche agito come un muro simbolico che ha sollevato questioni sociali, come la necessità di uno sviluppo urbano consapevole dei cambiamenti climatici e non soggetto a speculazioni. In totale, sono stati colpiti 78comuni oltre ad alcuni distretti nella parte meridionale di Valencia, causando secondo le cifre ufficiali 222 morti e 41 dispersi.
Ma perché c’è stata una tale mobilitazione sociale per un fenomeno meteorologico? Principalmente per la scarsa risposta delle autorità e per le cifre della catastrofe. L’inettitudine dei politici a capo della Generalitat Valenciana e la risposta del governo centrale, in un costante braccio di ferro fra di loro, hanno costretto la popolazione a diffidare dalle soluzioni istituzionali e rivolgersi all’aiuto disinteressato da parte dei cittadini: armati di secchi, pale, scope e zaini pieni di cibo, acqua, e altri oggetti da distribuire, ci siamo mobilitati e abbiamo percorso marciapiedi e strade, a piedi o in bicicletta, per venire in aiuto di chiunque avesse bisogno. È stato l’impegno della gente a far sì che le vittime potessero vedere uno spiraglio di luce, per quanto lieve, alla fine di un lungo tunnel.
Carlos Mazón è senza dubbio il primo bersaglio dell’indignazione popolare. Membro del Partito Popolare, questo politico di Alicante è diventato presidente del governo regionale valenciano dopo le elezioni del maggio 2023, vincendo anche grazie al sostegno e ai voti degli estremisti di destra di Vox. Il presidente della Generalitat Valenciana e la sua squadra hanno commesso una negligenza dopo l’altra: non solo il governo locale ha sottovalutato le previsioni allarmanti che l’Agenzia Meteorologica Statale (AEMET) aveva diramato già dal 25 ottobre, ma lo stesso giorno della catastrofe ha caricato sul proprio profilo Twitter un video in cui si invitava la popolazione a mantenere la calma, dicendo che il peggio era passato e che la tempesta si sarebbe spostata altrove intorno alle sei. E invece alle sette di sera i burroni hanno iniziato a straripare, provocando il caos. Soltanto alle otto, quando l’acqua aveva già invaso le strade e i morti si contavano già a decine, il governo valenciano ha attivato un allarme che suonasse sui dispositivi mobili di tutta la provincia. Dopo qualche giorno si è scoperto che Mazón era rimasto ad un pranzo privato fino al tardo pomeriggio e che si è presentato in ritardo al primo gabinetto d’emergenza, quando ormai regnava il caos.
Una delle prime immagini a diventare virali è stata lo screenshot di un tweet di Carlos Mazón, in cui il politico si vantava dell’eliminazione dell’Unità di Emergenza Valenciana, creata per decreto nel 2023 sulla scia della tempesta che nel 2019 aveva lasciato sei morti nel sud della regione. Un ulteriore segno della sua incompetenza sono state le informazioni contraddittorie da lui fornite circa la necessità di volontari nelle zone colpite. A volte è sembrato che ci fosse la volontà di escludere l’aiuto dei volontari, adducendo l’ostruzione delle vie di comunicazione, ma poi è stato allestito un centro di coordinamento nella Ciutat de les Arts i les Ciències. L’appello è stato un successo, 15.000 persone si sono riunite, ma questo non ha fermato l’autogestione della gente, in disaccordo con la gestione dei soccorsi, portando i volontari a ribellarsi e a chiedere di essere spostati nelle città che avevano più bisogno di aiuto. Alcuni autobus sono riusciti a raggiungere i centri più isolati come Chiva e Cheste, mentre altri sono semplicemente dovuti rientrare a Valencia a causa delle incomprensioni tra le autorità regionali e locali. Questa mancanza di coordinamento ha fatto sì che, già il giorno dopo l’attivazione del dispositivo d’emergenza, l’affluenza di volontari sia crollata a 1.500 persone, appena un decimo rispetto al giorno precedente, in un crollo di motivazione che ha poi portato alla sospensione dell’operazione.
Dal sabato sera sono diventate virali due notizie complementari: da un lato, è stata annunciata una visita del re e della regina Spagna in uno dei villaggi colpiti. Dall’altro, il fatto che l’accesso dei volontari sarebbe stato limitato su diverse strade proprio per garantire una migliore accoglienza ai monarchi. I social network si sono immediatamente riempiti di commenti di frustrazione, indignazione e abbandono, un malcontento attraverso il quale vanno lette le immagini della visita di Felipe VI e Letizia Ortiz, ma anche del primo ministro socialista Pedro Sánchez e dello stesso Mazón.
I simboli della cultura popolare vengono diffusi, svuotati e risignificati e così la lotta politica è stata accompagnata da un’incessante disputa di immagini e slogan che è passata anche per la musica. È il caso di della canzone “Al meu país la pluja” (“Nel mio paese la pioggia”), composta nel 1983 dal cantautore popolare Raimon e che in questi giorni è diventata virale sui social network come rivendicazione della memoria viva del País Valencià. Nelle intenzioni dell’autore, il testo usa l’acqua come metafora per la mancanza di libertà e la censura del regime franchista, un significato che oggi ha lasciato spazio a un’estetizzazione della catastrofe. Un’altra immagine virale è quella dei volontari cantano l’inno di Valencia con le mani sul petto. Nato nel 1909 come rivendicazione del regionalismo valenciano, ma il verso “valencians, en peu alcem-se” (valenciani, alziamoci in piedi) è stato declinato in senso solidaristico ma anche come canto di rivolta di fronte all’ingiustizia o alla cattiva gestione del governo. Un caso simile è quello della risemantizzazione dello slogan “Sols el poble salva el poble” (“Solo il popolo salva il popolo”), un detto associato alla sinistra autogestionaria ma ora ricondotto ad una visione di lotta comune dal basso, dissociata dai legami partitici. Su diversi striscioni si potevano leggere versi del poeta Vicent Andrés Estellés (1924-1993), uno dei poeti più importanti della letteratura valenciana, come il noto: “Allò que val és la consciència de no ser res si no s’és poble” (“Tutto ciò che conta è la coscienza di non essere nulla se non si è popolo”).
Tutte queste immagini contribuiscono a romanzare il sentimento di appartenenza a un gruppo che non esiste a priori ma è emerso dalla catastrofe. Questa collettività, chiamata “popolo”, è costituita dalle migliaia di volontari che sono andati disinteressatamente ad aiutare nelle diverse aree colpite, così come dalle persone che hanno subito gli effetti della tempesta sulla propria pelle. Le azioni di questi volontari sono state intese come una manifestazione del popolo in movimento che si mobilita efficacemente contro l’inefficienza dei governi. Poiché questo gruppo si è formato contro le autorità che hanno deluso la popolazione, molte persone stanno iniziando ad accettare l’idea che “tutti i politici sono uguali”, una demonizzazione della politica posta in opposizione agli interessi del popolo che può rappresentare una minaccia per le fondamenta della democrazia in Spagna. Allo stesso tempo, negli ultimi giorni sono circolate immagini di richieste di dimissioni di Mazón con messaggi scritti col fango, così come manifesti della manifestazione indetta per il 9 novembre, con la sua immagine capovolta. Anche Pedro Sánchez ha ricevuto messaggi d’odio a causa di un discorso che è stato interpretato come arrogante ed indifferente rispetto alle sofferenze della popolazione. L’enorme frustrazione popolare generata ha avuto origine soprattutto nella lotta dialettica tra il governo regionale e quello nazionale. Sebbene la gestione delle emergenze sia di competenza del governo regionale, Mazón ha cercato di esimersi da ogni responsabilità, attribuendo la colpa di previsioni sbagliate o di avvisi inefficaci ad agenzie come l’AEMET, o alla presunta responsabilità ultima del governo centrale – interpretazione fatta propria anche dal leader nazionale del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijóo. D’altra parte, l’approccio benevolo e collaborativo dell’esecutivo nazionale è stato interpretato da gran parte della popolazione come una mancanza di coraggio malgrado la situazione di massima urgenza. Così, alcune risorse dello Stato, tra cui la polizia, i vigili del fuoco e parte dell’esercito, hanno impiegato diversi giorni per agire sul campo a causa della mancanza di coordinamento tra le autorità.
È in questo clima di frustrazione nei confronti delle istituzioni che va compresa l’apoteosi simbolica che ha avuto luogo durante la visita delle alte sfere dello stato. Gli ingressi trionfali nelle città sono una sorta di esibizione cerimoniale del potere delle più alte sfere, dove i monarchi venivano accolti con uno sfoggio di arte effimera, prelibatezze, applausi e lodi. Il dispiegamento di forze dell’ordine che ha avuto luogo a Paiporta, volto a garantire la sicurezza delle autorità presenti, ha provocato la reazione di parte della società valenciana di fronte alla paralisi dei lavori di pulizia. La visita è stata accolta al grido di “Assassini!” e con il lancio del fango che ancora impregnava i marciapiedi. A cinque giorni dalla tragedia, questo evento ha avuto le maggiori ripercussioni.
Le prime pagine dei giornali hanno mostrato i re sporchi di fango che parlano, abbracciano e calmano le vittime, ma è stato impossibile nascondere la rabbia della popolazione esplosa negli attacchi ai leader politici. L’immagine dei re è stata percepita come un esempio di umiltà e dialogo da parte della Corona, ma nella contestazione si è rivisto un grave problema sociale della Spagna: l’insoddisfazione nei confronti della monarchia. Juan Carlos I fu scelto personalmente da Francisco Franco e ha lasciato un ricordo marcato dai suoi eccessi e dalla sua concupiscenza, laddove Felipe VI vuole porsi come l’esatto contrario. Vengono enfatizzate la sua serietà, la sua diligenza, la sua reputazione di marito e padre impeccabile e le sue qualifiche accademiche. In breve, si fa appello alla sua “validità” come capo di Stato. Dopo quanto accaduto a Paiporta, la stampa ha pubblicato immagini che evidenziano la sua umiltà e il suo eroismo nel proseguire nel fango e nel parlare con tutti coloro che contestavano il suo ruolo. La regina consorte, Letizia, è stata rappresentata con immagini ravvicinate del volto segnato dal fango e con espressione sconvolta.
La contro-narrazione del popolo valenciano a queste immagini è stata il recupero di una tradizione popolare per mostrare il malcontento verso i monarchi: capovolgere i ritratti ufficiali. Questa forma di iconoclastia ha avuto origine nel País Valencià nel 1707 e si accompagna al detto “Quan el mal ve d’Almansa, a tots alcança” (“Quando il male viene da Almansa, arriva a tutti”). Il riferimento è alla battaglia di Almansa, decisiva nel determinare il passaggio dalla dinastia asburgica ai Borboni che poi avrebbero abolito i ‘Furs valencians’, il codice giuridico proprio del Regno di Valencia. Il re Filippo V, primo Borbone di Spagna, ordinò di incendiare la città di Xàtiva causando la morte di molti abitanti, un trauma tanto profondo che nel 1957 il direttore del museo locale appese a testa in giù il ritratto del re. Proprio come questo gesto del direttore, domenica le immagini di Felipe VI e Letizia a testa in giù sono diventate virali su internet – un gesto che era già stato utilizzato nelle richieste di dimissioni a Mazón. Allo stesso modo, quel momento di rabbia durante la visita è stato sfruttato da un gruppo di persone, la cui identità è ancora in corso di accertamento ma verosimilmente appartenenti all’estrema destra, per attaccare alle spalle Pedro Sánchez che è stato ferito tra i cori “Pedro Sánchez, figlio di puttana” o “Pedro Sánchez, vigliacco”.
Nel frattempo, la popolazione colpita sta cercando di tornare alla normalità tra il fango e la distruzione. Il 9 novembre, alcune associazioni di sinistra hanno indetto una manifestazione per chiedere le dimissioni di Mazón, che ha riscosso grande successo: circa 130.000 persone si sono affollate nel centro di Valencia. La protesta, inizialmente pacifica, è gradualmente diventata più violenta, culminando in uno scontro tra diversi gruppi di manifestanti e la polizia nazionale e la serata si è conclusa tra arresti e l’immagine scioccante della facciata del Palau de la Generalitat ricoperta di manifesti, scarpe da ginnastica dei manifestanti e graffiti, alcuni realizzati con il fango e altri con la vernice. Molti di loro hanno puntato il dito su quello che ritenevano il responsabile della cattiva gestione di tutto: Carlos Mazón.
Queste immagini possono essere intese come la punta dell’iceberg delle tensioni politiche in Spagna. La catastrofe ha inaugurato un momento di intensa politicizzazione in cui le emozioni delle persone sono spinte in una direzione o nell’altra attraverso le immagini. In questo contesto, la sinistra ha lanciato tutta una serie di simboli il cui obiettivo principale è quello di ottenere le dimissioni (e l’eventuale incriminazione) di Carlos Mazón; l’estrema destra, invece, ha cercato di approfittare dell’emergenza per attaccare il capo del governo, cercando allo stesso tempo di proporsi come portavoce dell’antipolitica. Se “tutti i politici sono uguali”, allora non c’è differenziazione né giusta epurazione delle responsabilità. Se “solo il popolo salva il popolo” perché lo Stato fallisce , allora si dice al popolo che le sue tasse sono inutili e che, di fatto, lo Stato deve essere ridotto, proprio come vuole l’estrema destra.
La politica, come il fango, permea tutto in questi giorni. Le immagini che circolano dopo la catastrofe sono un esempio della mutazione dei simbolismi nel mezzo di questa lotta. I partiti di governo sono ancora sotto shock dopo la scoperta degli abusi sessuali commessi da Íñigo Errejón, deputato e portavoce del partito di sinistra Sumar, e il loro obiettivo sembra di superare la tempesta mostrando un basso profilo. Il Partito Popolare ha mostrato una certa ambiguità, cosicché mentre Mazón o Feijóo sono sotto i riflettori per mala gestione dell’emergenza o per le loro parole, altri importanti leader regionali mantengono un prudente silenzio. Infine, l’estrema destra, del tutto priva di freni, ha interpretato la tragedia come una fantastica opportunità per prosperare in un contesto di panico, confusione e rabbia. Giornalisti legati a Vox hanno diffuso diverse bufale, come quella che sosteneva che ci fossero più di 200 morti nel parcheggio sotterraneo del centro commerciale Bonaire, dove non è stato trovato nessun corpo. Nonostante l’enorme gioia per questa notizia, per alcuni era importante che il bilancio delle vittime fosse aumentato. Più morti producono più rabbia e, con la rabbia, il caos di cui si nutrono.
C’è chi vede il caos non come un pozzo, ma come una scala. Ma altri, con il loro esempio ammirevole e disinteressato, ci stanno dando una lezione: alla faccia di chi cerca di convincerci che l’uomo è un lupo per l’uomo e che non ci si può fidare di nessuno, la solidarietà e il sostegno reciproco sono stati ciò che ci sta permettendo di sopravvivere e andare avanti.