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Domenica scorsa si è votato in Germania, il paese più ricco e popoloso dell’Unione Europea che sta vivendo una grave crisi economica. Come previsto, hanno vinto i cristiano-democratici e l’estrema destra è arrivata seconda, ma il voto è stato un’occasione di rivelare svariati conflitti latenti nella società tedesca. Pietro Malesani – giornalista freelance – racconta il voto da Berlino.

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“Non so se entrare”. Sono a Berlino per seguire le elezioni. È il 23 febbraio, il giorno in cui si vota, e per l’occasione sono andato al seggio di Marzahn, nella periferia est della capitale, per fare qualche domanda alle persone che incontro. Ad un certo punto mi rivolge la parola un uomo: sui sessant’anni, sguardo perplesso, indossa una tuta. Non di quelle super tecniche che si vedono spesso addosso ai tedeschi, ma un vecchio completo in acetato. È incerto se andare a votare. Non ha molto tempo per decidere: mancano appena dieci minuti alle 18, l’ora a cui i seggi chiuderanno, ma in ogni caso non sembra essere molto motivato. Iniziamo a chiacchierare e si lamenta dei politici, del fatto che rubino e non mantengano le promesse fatte. “Qui è pieno di ucraini. Sono arrivati e gli hanno subito dato una casa, io ne ho chiesta una per tredici anni e nessuno mi ha dato nulla”. Ci tiene però a specificarmi che, a differenza di molti che vivono da queste parti, lui non voterà per Alternative für Deutschland, il partito di destra radicale. “Sono estremisti di destra e sono degli idioti” mi dice.

Alla fine annuncia che non voterà e se ne va. Ma è uno dei pochi. Alle elezioni di domenica l’affluenza è stata dell’83%, vale a dire che hanno votato quasi 50 milioni di tedeschi – ben tre in più che nel 2021. Sono risultati incredibili, soprattutto se osservati dall’Italia, dove da vent’anni non si registrano numeri simili. Ma sono cifre fuori dalla norma anche – e forse ancora di più – per la Germania: da quando il Paese è stato riunificato, nel 1990, mai erano andate a votare così tante persone.

Le ragioni dell’alta affluenza sono varie e di sicuro una delle più importanti è che il voto era molto sentito. I sondaggi della vigilia, poi rivelatisi molto affidabili, davano l’estrema destra sopra al venti per cento. Addirittura, la leader di AfD Alice Weidel aveva dichiarato di puntare al 25% e in molti erano convinti che si trattasse di un obiettivo non così fuori portata, soprattutto dopo che vari attentati compiuti da persone di origine straniera avevano riacceso in questi mesi il dibattito sulla necessità di contrastare l’immigrazione. Proprio per questo in molti si sono recati quindi alle urne per fermare l’avanzata dell’estrema destra, magari tappandosi il naso e votando un partito con cui non si sentivano perfettamente allineati.

Se si guardano i dati, però, ci si rende conto che l’aumento dell’affluenza è merito più della destra che non dei suoi oppositori: AfD ha guadagnato oltre 6 milioni di voti rispetto al 2021 e un terzo di questi sono arrivati da persone che alle scorse elezioni federali non avevano votato. Il confronto con gli altri partiti è significativo. La CDU ha preso molti più voti di AfD ed è stata scelta da molti di coloro che volevano limitare l’estrema destra, considerando che era l’unico partito ad avere chance di vittoria, ma nonostante questo ha ricavato soltanto un milione dei propri consensi da persone che non avevano votato. D’altra parte, i partiti del governo uscente non hanno convinto quasi nessuno, mentre due formazioni piccole come la sinistra della Linke e i rossobruni di Bündnis Sahra Wagenknecht hanno ricevuto insieme 700mila voti da chi si era astenuto: un numero piuttosto alto se si considerano le loro dimensioni, ma comunque esiguo rispetto a quello registrato da AfD.

L’estrema destra tedesca è quindi riuscita a portare alle urne un gran numero di coloro che di solito si astengono, qualcosa che i partiti tradizionali cercano di fare da anni – non solo in Germania – senza grandi risultati. Ha sfruttato la delusione generale per il governo uscente del socialdemocratico Olaf Scholz, ha puntato su una serie di ricette populiste su economia e sicurezza, ha dato voce al risentimento di chi si sente tagliato fuori da una società ricca come quella tedesca e ha assecondato la paura verso il futuro e il diverso. Le urne le hanno dato ragione: AfD ha raddoppiato i propri consensi rispetto alle scorse elezioni legislative, ha sfondato il muro del 20% ed è diventata il secondo partito del paese. 

L’estrema destra, però, non ha comunque vinto. I conservatori della CDU sono arrivati al primo posto e probabilmente eleggeranno il loro candidato Friedrich Merz come prossimo cancelliere. E poi AfD continua ad essere isolata dal Brandmauer, il “muro spartifuoco” che gli altri partiti hanno eretto per isolare l’estrema destra. Ma poco importa, si tratta di dettagli che non hanno impedito alla formazione di Weidel di spingere a destra tutta la scena politica tedesca. Nel tentativo di riprendersi i voti andati ad AfD, la CDU di Merz ha rinnegato gli anni di Angela Merkel e ora ha posizioni dure su sicurezza e diritti civili. Di fatto, tutti i partiti tranne la Linke, chiedono la chiusura dei confini e il rimpatrio di coloro che si trovano in Germania illegalmente, anche a costo di doverli spedire in Afghanistan (come del resto il governo di centrosinistra ha già fatto nei mesi scorsi). E facilmente il prossimo governo opterà per un taglio netto della spesa sociale.

Anche il fatto che AfD non entrerà nel prossimo governo non è poi così rilevante per le ambizioni del partito. Subito dopo il voto Weidel ha proposto provocatoriamente a Merz di formare una coalizione di destra, ma in realtà non sarà dispiaciuta di restare all’opposizione. Sa che la CDU sarà costretta a formare un’alleanza con i socialdemocratici e forse con i verdi (ma è poco probabile), due partiti usciti nettamente sconfitti dalle urne. E scommette che questo governo sarà litigioso e inefficace come quello precedente, portando nuovi consensi ad AfD. “Nel 2029 avremo un nostro cancelliere, di sicuro – dice Tino Chrupalla, uno dei leader della formazione identitaria – e la domanda è se dovremo aspettare così a lungo”.

Girando per Berlino nei giorni precedenti alle elezioni, mi accorgo che non è facile capire cosa stia succedendo nel Paese. In parte c’entra il freddo: di notte la temperatura scende fino a dieci gradi sotto zero, i canali cittadini sono gelati in vari punti e camminando su molti dei marciapiedi bisogna fare attenzione allo strato di ghiaccio che si è formato – e che nessuno ha pensato di togliere. E così la campagna elettorale si svolge quasi interamente al chiuso. I politici sono impegnati in vari Küchentischgespräche, letteralmente i “dialoghi al tavolo della cucina”, gli incontri con gli elettori casa per casa. E anche quando viene organizzato qualche comizio si trova tendenzialmente al chiuso, dove si può godere del riscaldamento e i posti sono limitati. 

La popolazione dopotutto sembra aver esaurito le proprie energie e accettato che le elezioni andranno come devono andare. Tra fine gennaio e inizio febbraio centinaia di migliaia di tedeschi si erano riversati nelle strade in tutta la Germania, per protestare contro la collaborazione avvenuta per la prima volta tra CDU e AfD per approvare una mozione contro l’immigrazione e provare (senza successo) a far passare una proposta di legge sulla stessa linea. Appena due settimane dopo, questo slancio sembra essersi esaurito. Davanti alla sede in cui si tiene uno degli eventi che chiudono la campagna elettorale di Merz e dei conservatori ci sono appena trenta persone, che protestano in maniera flebile e gridano – ironicamente, visto il loro numero – che tutta Berlino odia la CDU. Per le strade ci sono soltanto alcuni banchetti della Linke, gli altri partiti non sono pervenuti. E l’unica manifestazione degna di nota è quella di duecento neonazisti, giovanissimi, che marciano per le vie della capitale il giorno prima del voto e vengono scortati da decine di poliziotti, per evitare che si scontrino con i gruppi antifa che vorrebbero fermare il corteo.

Soltanto i manifesti elettorali ricordano che sono i giorni delle elezioni. E proprio i manifesti danno alcuni segnali interessanti. Nei quartieri centrali di Berlino i cartelli della Linke sono onnipresenti, ad indicare l’ottima campagna elettorale del partito tutta concentrata su affitti, lotta alla povertà e al cambiamento climatico. I manifesti delle grandi formazioni di centro – un insieme in cui mettiamo CDU, SPD e Verdi, nonostante le loro tendenze molto diverse – sono pochi e tendenzialmente imbrattati. Quelli di AfD sono totalmente assenti: si può camminare per chilometri senza vederne neanche uno. Più che l’estrema destra sembra che a vincere debbano essere gli europeisti liberali di Volt, che hanno cosparso la città di manifesti ma non otterranno che lo 0,7%.

Il giorno del voto le cose cambiano un po’. Parlando con le persone in coda ai seggi tra i quartieri di Kreuzberg e Neukölln, si percepiscono tensione, preoccupazione, poco ottimismo. È una zona della città molto centrale e multietnica, con una popolazione che sta bene, vota tendenzialmente a sinistra ed è intimorita per quello che succederà. Miguel, un uomo francese sui 40 anni, sta giocando al parco con le sue due figlie e mi dice di essere preoccupato per loro. Lui non andrà a votare, è uno dei tanti che vive in questo quartiere e non ha la cittadinanza tedesca. Non crede che una vittoria di AfD avrebbe degli effetti a Kreuzberg. Ma non sa cosa pensare sul futuro.

Come lui ne vedo molti altri, davanti ad un liceo di Neukölln che è stato adibito a seggio. Giovani, giovanissimi, decisamente tedeschi o (qualcuno, non tanti) di origine turca, spesso arrivano al seggio accompagnati da uno o più bambini. Sono sorridenti ma anche spaventati, alcuni dicono già che hanno paura di sapere i risultati finali e sono certi che ne saranno scioccati. Tutti insistono che l’estrema destra deve continuare ad essere isolata, è un punto cruciale, e non si fidano delle promesse di Merz di non collaborarci. 

Lo spavento va di pari passo con la non comprensione. Qui nessuno capisce come faccia l’estrema destra ad essere così avanti nei sondaggi, quelli che abitano qui conoscono solo persone che votano Linke, Verdi, al massimo la CDU. Berlino è un’isola, rispetto al resto del Paese, un’isola che non riesce a vedere quali siano le ragioni che spingono le persone a votare AfD né chi siano le persone che lo fanno.

Per trovare gli elettori di Alice Weidel bisognerebbe andare nella campagna del Brandeburgo, appena fuori Berlino: lì il voto ha certificato che l’estrema destra è nettamente il primo partito, come del resto in tutta la ex Germania Est. Si potrebbe andare a Dresda, Chemnitz, Rostock, grandi città dove AfD è risultata comunque la forza politica più votata. Oppure in tutta la Germania meridionale, una volta un territorio ostile, in cui questa volta l’estrema destra esce dalle urne come seconda forza politica.

Se però non ci si vuole allontanare troppo dal centro di Berlino è sufficiente andare a Marzahn, il quartiere nella periferia est dove ho incontrato il signore in tuta che si astiene. Marzahn faceva parte di Berlino Est e durante il regime socialista era stato scelto come uno dei luoghi che avrebbero dovuto ospitare la popolazione berlinese. Così è stato: qui come nei vicini quartieri di Hoheschönhausen e Hellersdorf il panorama è dominato da enormi casermoni, costruiti prima della caduta del Muro. Il seggio si trova tra due di questi condomini, gialli, alti venti piani, accanto ad un centro commerciale e alla ferrovia. 

In questo distretto i manifesti di AfD ci sono: il partito è risultato il più votato alle elezioni europee dello scorso anno e lo è anche questa volta. E qui le persone, a prescindere da quello che voteranno, citano questioni di tutt’altro tipo rispetto agli abitanti del centro. Per la prima volta sento parlare di sicurezza e di attentati, senza che il discorso venga estremizzato ma comunque facendo intendere che è una questione da risolvere. Molti mi dicono che serve un governo funzionante, a prescindere da chi lo compone, e che faccia gli interessi dei cittadini. Alcuni credono che isolare AfD sia una scelta antidemocratica e che se un partito vince dovrebbe poter andare al governo anche se è blu – il colore con cui si indica il partito di estrema destra. In parecchi sono comunque preoccupati dalla crescita dell’estrema destra, ritengono che sia problematica e sanno che nel quartiere il partito andrà molto bene. Ma la questione resta comunque sullo sfondo, rispetto al calo del potere d’acquisto e all’aumento vertiginoso degli affitti; un signore con il pizzetto mi spiega che ci sono dei progetti per migliorare il quartiere ma che lui sta cercando di fermarli, andando casa per casa a convincere i suoi vicini, perché pensa che porteranno ad una crescita importante dei canoni d’affitto.

Sto un’ora davanti al seggio e, stando alle statistiche, molti di quelli che vedo entrare stanno andando a votare AfD. Ma due me lo dicono in maniera esplicita. Sono una coppia, avranno sessantacinque anni e hanno voglia di parlare del loro voto. Mi dicono di essere abbastanza convinti, di aver votato il partito di Weidel perché le altre formazioni non vanno bene. E sono d’accordo con i vertici del partito per quanto riguarda le possibilità di governare: per questa volta non ci sarà una coalizione con la CDU, purtroppo, ma tra quattro anni la situazione sarà molto diversa.


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