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Nella “nuova era” di Xi Jinping la Cina è tornata al centro dell’attenzione, ma sembra più incompresa che mai. Yoshimi – pseudonimo di un blogger occidentale residente in Cina, ormai riconosciuto come uno dei migliori osservatori del paese – cerca di venirne a capo da più di un decennio. Questo saggio sul senso di Xi Jinping è una bonus track (nel senso che doveva essere incluso nel libro ma abbiamo dovuto tagliarlo per ragioni di spazio) di Cose incredibili accadono in Cina, il terzo titolo della collana di libri Iconografie x NERO Editions – da ieri è in tutte le librerie e ordinabile qui.

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Non credo che Xi Jinping sia un genio. Questo è forse l’unico punto in cui la mia visione comprensiva ma talvolta critica della Repubblica Popolare Cinese e della sua politica coincide con quella di molti dissidenti cinesi. Le file dei dissidenti della Cina moderna sono piene di critici del “grande acceleratore” o del “presidente di tutto”, questo sciocco aspirante imperatore le cui tattiche politiche da teppista, il cui ego smisurato e la cui incurabile tendenza al controllo stanno distruggendo proprio il sogno cinese che egli pretende di difendere. Gli intellettuali in esilio, i liberali in prigione e gli esperti da salotto di Hong Kong e Taiwan vedono tutti il ritorno del “totalitarismo”, quell’uso spietato del potere politico assoluto che funziona davvero come nel 1984 di Orwell, uno stivale che calpesta un volto umano per sempre senza altra ragione se non quella di farlo. L’inasprimento dei controlli ideologici e dell’apparato di censura, il controllo del settore privato, la centralizzazione del potere e l’attenzione a severe norme anticorruzione: tutte queste sono le azioni, così si dice, di un delinquente il cui unico istinto politico è quello di preservare il proprio potere a qualsiasi costo per lo sviluppo del Paese.

È qui che qualsiasi studio sensato della Cina di Xi dovrebbe separarsi dalla folla dissidente Xi è un burocrate, un uomo serio, probabilmente intelligente, ma non un genio. Non credo che il “pensiero di Xi Jinping” sia al pari del “pensiero di Mao Zedong” come tendenza ideologica genuinamente rivoluzionaria e potente, capace di smuovere le montagne e cambiare il mondo: è uno slogan pragmatico, una rivendicazione della leadership. Non credo che Xi sia l’uomo del Rinascimento che la sua propaganda a volte ci dipinge. Non mi convince nemmeno l’immagine moralista, emotiva e molto borghese, con la sua concezione limitata del potere politico, che ci viene proposta da personaggi come l’ex membra del partito Cai Xia. È vero che Xi ha creato una Cina molto più centralizzata di prima e che questo ha eliminato molte delle disfunzioni degli anni 2000 – l’era della speranza per i liberali, l’era della corruzione assoluta, dello spreco e dell’ingiustizia ufficiale per molti altri – e ne ha create al loro posto altre nuove e diverse.

Ma dobbiamo contrapporre a questo il lavoro di un vero boss mafioso. Vladimir Putin in Russia, un animale politico che mantiene la sua posizione di rilievo in un’élite divisa essendo l’unico in grado di tenere insieme il tutto e che sfrutta abilmente il trattamento squallido riservato al suo Paese da un Occidente elitario e ipocrita per crearsi una popolarità autentica che non è stata concessa ai suoi compagni eterogenei e ai suoi predecessori ipercorrotti. Entrambi gli uomini sono essenziali per il processo politico odierno nei loro paesi. Ma in Russia, nei ventitré anni da quando Putin è salito al potere, tutto ciò che è realmente cambiato è stato un miglioramento nel funzionamento di quello stile di cattiva gestione. Un presidente potente barcolla di crisi in crisi, ricorrendo a trucchi costituzionali per mantenersi a galla, una figura al centro di uomini d’affari, militari e servizi di sicurezza, l’unica forza in grado di ristabilire in qualche modo l’ordine dopo ogni disastro.

In Russia non esiste un sistema di governo funzionante al di là della fedeltà al capo del Cremlino. Il partito Russia Unita da lui guidato è una farsa, la Duma, con i suoi comunisti compiacenti e i suoi fedelissimi, è debole come lo è stata da quando Eltsin la bombardò nel 1993. Non esiste un’ideologia coerente nel mondo di Putin, un mondo in cui sia il comunismo che la democrazia sono stati dichiarati fallimenti, se non un cupo nazionalismo russo radicato in un cocktail di rancore e paranoia. L’unica cosa che è cambiata è che la situazione è diventata più repressiva con l’arrivo delle forze di sicurezza e l’aggravarsi del marciume. Non c’è stato alcun tentativo di risolvere i problemi economici del Paese, le sue zone rurali abbandonate, la corruzione dilagante, l’intreccio tra gli interessi mafiosi e la politica statale. L’unica riforma tentata a un livello serio è stata quella militare, e per giunta attuata in modo esitante, che l’Ucraina ha chiaramente dimostrato non aver funzionato.

In sintesi, la Russia stessa, il suo popolo e la sua società sono cambiati dal 1999, ma il sistema che li governa è rimasto lo stesso. Putin rimane in carica e al comando della Russia solo perché qualcuno deve farlo, e probabilmente crede che se non ci fosse lui tutto andrebbe in pezzi. In questo contesto, il cambiamento e l’instabilità che porta con sé sono il nemico: quella brutta parola “riforma” significa solo una scusa per dare inizio al collasso. E il decadimento delle istituzioni statali come la Duma, i governi locali e così via è una parte fondamentale di questo, perché in realtà al governo di Putin conviene strisciare tra i resti di ciò che è rimasto del tentativo post-sovietico di creare un sistema politico, meccanismi che possono essere utilizzati quando servono e scartati quando non servono più. La Russia moderna è uno “Stato mafioso”, ma non nel senso di “un gruppo di persone che vogliono arricchirsi e fregare chiunque non faccia parte della loro banda”, perché tale avidità senza scrupoli esiste in ogni sistema politico. Ma in Russia rimane solo questo, e la consapevolezza che qualsiasi altra cosa è impensabile.

Anche la Cina di Xi è uno Stato guidato da un uomo forte, dove un solo uomo ha piegato il sistema politico a suo favore, ma ciò che possiamo immediatamente contrapporre all’autentico Stato mafioso russo è che, dall’ascesa di Xi alla leadership, la Cina è cambiata enormemente. L’apparato statale ha riconquistato molti settori da cui era fuggito e il clima politico è diventato molto più pesante, ma oltre a questo le riforme di Xi hanno attaccato la corruzione su una scala prima impensabile, hanno promosso lo sviluppo rurale e preso di mira enormi monopoli privati, e hanno scosso la politica etnica. Il fulcro del miracolo economico post-78, il sistema di registrazione delle famiglie, è stato allentato, le infrastrutture sono state notevolmente ampliate e i gruppi di interesse precedentemente intoccabili sono stati duramente colpiti. A differenza della Russia di Putin, Xi ha passato dieci anni a far incazzare un sacco di gente potente. Il percorso intrapreso da Xi è senza ritorno e se non riuscirà a portare a termine il suo progetto – creare un sistema funzionante con ciò che gli hanno lasciato i decenni precedenti, trovare qualcuno che lo guidi e poi fare i bagagli per andare a vivere in una casa confortevole con la sua bella moglie – allora le migliaia di nemici che si è fatto nell’establishment del Partito si metteranno in fila per vendicarsi. 

Non intendo dire, tra l’altro, che tutto questo smuovere le acque sia stato produttivo, utile o positivo, ma solo che questo non è il comportamento del leader di uno Stato mafioso. Il rischio che si affermasse tale sistema esisteva sotto il predecessore di Xi, Hu Jintao, in cui il primus inter pares presiedeva un Politburo indisciplinato di gruppi di interesse, fazioni e bande in conflitto, soffocando ogni tentativo di riforma seria, poiché il suo compito era semplicemente quello di tenere insieme le cose – questo era il periodo in cui “mantenimento della stabilità” e “società armoniosa” erano diventate espressioni molto popolari nel discorso governativo. La tattica di Xi potrebbe assomigliare in qualche misura a quella di Putin, poiché entrambi sono uomini dell’establishment che fanno ciò che ritengono necessario, ma il risultato finale è diverso. Putin cerca solo di preservare. Xi, sebbene sia un politico di carriera e non un visionario altisonante, sta cercando di ricostruire e, essendo un uomo del Partito e della burocrazia, il suo modo di farlo è quello di alterare la struttura stessa del sistema.

L’analisi del Partito sul crollo dell’Unione Sovietica è stata che esso è avvenuto a causa di difetti interni al Partito Comunista Sovietico, e da molto tempo ormai i suoi leader e le sue élite mettono in guardia dai pericoli delle pallottole ricoperte di zucchero della borghesia, dalle mosche lasciate entrare dalla riforma del mercato e dal decadimento dei meccanismi del Partito. Xi ha iniziato a prendere di mira questo fenomeno con quella che una volta era chiamata la “campagna anticorruzione”, caratterizzata da molti osservatori come una serie di epurazioni e giochi di potere – dopotutto, tutte quelle precedenti lo erano state. È stato questo rivolgere gli organi disciplinari del Partito contro il proprio popolo – la rottura, in una certa misura, dell’omertà dello Stato mafioso – che ha suscitato tanta indignazione non solo tra i soliti liberali e intellettuali, ma anche tra molti membri dell’élite stessa. Da qui è nata l’idea del boss mafioso Xi: non la creazione, ma solo la distruzione dei rivali in nome di un nebuloso dispotismo “maoista”.

Ma ciò che sta accadendo ora che molte delle “tigri” dell’era Xi – come il capo della sorveglianza Zhou Yongkang o il generale dell’Esercito popolare di liberazione Xu Caihou – sono state messe fuori gioco rappresenta un cambiamento con alcune implicazioni interessanti. In primo luogo, dopo il XIX Congresso del Partito, l’attenzione della campagna si è spostata in modo massiccio sui funzionari di base del Partito, le “mosche”. In secondo luogo, per quanto riguarda i risultati effettivi delle indagini, il 70% dei funzionari puniti non ha ricevuto pene detentive o altre punizioni severe, ma verdetti più lievi come l’autocritica pubblica. Anche la natura delle indagini è cambiata: dal 2019 al 2021 la maggior parte dei casi indagati sono legati alla “performance” piuttosto che alla corruzione. Significa che i funzionari più sfacciati nella loro corruzione che accumulavano mazzette di banconote da cento yuan in magazzini segreti e avevano dieci amanti e sei BMW, non sono più l’obiettivo della campagna, ormai istituzionalizzata, rivolta adesso ai funzionari di rango inferiore che devono migliorare le proprie prestazioni. In altre parole, l’attenzione si sta spostando dalla distruzione al tentativo di costruzione. 

Xi Jinping si è trovato di fronte a una contraddizione: nel tentativo di rivitalizzare il Partito ha fissato obiettivi in ogni settore e lanciato progetti ambiziosi, ma per realizzarli ha dovuto fare affidamento proprio sul Partito e sullo Stato afflitti da tutti i problemi che cercava di risolvere. Questo problema si rifletteva nell’incoerenza che portava la gente a vedere la campagna anticorruzione come l’ennesima epurazione, in cui gli alleati personali di Xi sembravano sempre riuscire in qualche modo a sfuggire al colpo, in un’organizzazione in cui la corruzione era così normalizzata che i primi tentativi di punirla avrebbero portato i quadri a non fare nulla perché non sapevano come svolgere il loro lavoro senza ricorrere alla corruzione.

Per molti, questa incoerenza ha reso facile la valutazione negativa della campagna anticorruzione. Ma ora che possiamo vedere la sua trasformazione in un elemento permanente e il cambiamento di attenzione sopra indicato, possiamo capire che ciò che si è svolto nei primi due mandati della leadership di Xi era solo l’inizio. Da solo, ovviamente, non era sufficiente: il prossimo passo è il miglioramento della qualità dei quadri attraverso il miglioramento delle loro prestazioni. E i mezzi per farlo sono già in atto: i KPI (Key Performance Indicators) utilizzati per valutare i funzionari del Partito nei fascicoli conservati dal vasto Dipartimento Organizzativo, che fornirà i dati sulla base dei quali la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare valuterà i casi.

Il termine KPI non appartiene al lessico comunista, ma a quello commerciale, e nel settore privato cinese, dove la concorrenza è spietata, i KPI guidano tutto. Qualsiasi dato che dimostri che un lavoratore produttivo sta facendo del suo meglio è fondamentale per il successo. Nel mondo ibrido capitalista-comunista della Cina moderna, i KPI sono anche la chiave del successo del governo: nell’era di Hu Jintao, il parametro del PIL a tutti i costi dell’era delle riforme ha cominciato a fondersi in una complessa serie di valutazioni dei quadri basate su fattori quali la qualità dell’aria, il tasso di povertà e altri elementi che sono confluiti nelle classifiche utilizzate dal Dipartimento dell’Organizzazione per decidere dove, quando e chi governava cosa. Naturalmente, come gran parte delle iniziative dell’era Hu, si trattava in gran parte di una misura puramente nominale, mentre restavano in piedi la compravendita di cariche, il nepotismo e i regali ai potenti.

Ma Xi ha posto fine a gran parte di questi sprechi e stravaganze ufficiali. Ha vietato ai quadri l’accesso ai campi da golf, promosso i valori fondamentali del socialismo e obbligato i funzionari a indossare distintivi con falce e martello per assicurarsi che sappiano chi rappresentano e perché. Negli ultimi giorni del regime di Mao, essere rossi era meglio che essere esperti, mentre sotto e dopo Deng gli esperti di qualsiasi carattere, orientamento politico o stile erano lodati purché fingessero di essere rossi. Xi potrebbe non essere un visionario che comprende veramente il sogno del comunismo in cui sembra credere. Potrebbe essere un semplice burocrate, un po’ privo di immaginazione e rigido. Ma il suo sogno per ora è abbastanza grandioso: che i quadri del futuro possano un giorno riuscire a essere sia rossi che esperti e che possano salvare la Cina dall’inquinamento ambientale, da quello spirituale e dalle contraddizioni economiche scatenate dai decenni precedenti.

Ecco perché il “modello Putin” e l’idea di un autoritarismo che collega Cina, Russia e Iran non funzionano. La Russia è governata dalla volontà di un unico uomo forte e ostinato, determinato a preservare il proprio potere, ma la Cina non è governata dalla volontà di Xi allo stesso modo. È governata secondo la logica dei KPI. Xi sta cercando di rafforzare il proprio potere, ma non ha inventato questo sistema: il Partito è governato da piani quinquennali, obiettivi di PIL e valutazioni burocratiche su larga scala da decenni. Lui stesso non è il padrone assoluto che era Mao. La Cina ha in una certa misura un culto della personalità di Xi, che è considerato il “leader centrale” di questa generazione; ma non si tratta del governo personale di Putin né di quello di Mao. Volendo, presenta alcune somiglianze con Stalin, il burocrate silenzioso e paranoico che si disintegrava nel pubblico Stalin paternalistico, l’incarnazione della volontà di Lenin scesa sulla terra, l’umile servitore del popolo, un mantello assunto per presiedere alla ricostruzione totale del mondo, verso un futuro scritto nei dati contenuti nei documenti del piano quinquennale. Invece della dittatura degli uomini, è una dittatura dei numeri, dalla quale nemmeno il leader supremo può sfuggire.

Se questo vi spaventa, probabilmente va bene così. Non è l’unica cosa che caratterizza la Cina, ma è la logica che la fa funzionare. Non è una logica calorosa, né gentile. È la logica che ha portato a tutto ciò che sta accadendo e che è accaduto: la prevenzione del COVID, i cambiamenti nella politica etnica, la distruzione del settore dell’istruzione privata, il video grottesco di due operatori sanitari che picchiano a morte un cane a Huizhou mentre il suo proprietario era in quarantena. E allo stesso modo ha portato all’enorme successo della riforma, dell’apertura e dello sviluppo del Paese, alla ferrovia ad alta velocità di cui tutti parlano, ai paesaggi urbani scintillanti e al fiorente settore tecnologico. Mentre sotto il cielo si scatena il caos, Xi e i suoi uomini analizzano dati e fissano obiettivi; magari il mondo perfetto dei numeri non arriverà mai, ma loro devono governare come se fosse già qui. Proprio come Putin non può immaginare la Russia senza se stesso al comando, e i politici americani non possono immaginare nessun altro tipo di sistema, il Partito comunista cinese è vincolato alla logica degli obiettivi che si è prefissato. Se Xi Jinping è un genio, se ha una qualità che gli ha permesso di cambiare così tanto il panorama cinese in così poco tempo, è quella di capirlo meglio di chiunque altro.


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