Il fine settimana scorso resterà nella storia della Russia e anche del mondo per il repentino susseguirsi di eventi attorno alla compagnia militare privata Wagner, capeggiata dall’imprenditore pietroburghese Evgeny Prigozhin. In pochissime ore, dopo un video di dubbia veridicità in cui si denunciava l’attacco a un campo base nella regione di Kursk, quella che è una delle unità più in vista nella guerra russa all’Ucraina si metteva in marcia, occupando senza grandi difficoltà la città di Rostov, importante hub da e per il Donbass, per poi dirigersi con qualche migliaio di uomini verso Mosca, salvo fare un clamoroso dietrofront a poco più di due ore dalla capitale. Le testimonianze di questi giorni raccontano una attitudine mista rispetto alla marcia per la giustizia sociale (spravedlivost), come è stata battezzata da Prigozhin: dal panico di un settore dell’establishment e degli oligarchi prontamente volati all’estero, alla rabbia e al disorientamento di Vladimir Putin, apparso irritato e spaesato in un video trasmesso mezza giornata dopo che le truppe della Wagner erano già dirette verso la capitale, affrontando l’aviazione nei pressi di Voronezh. La mediazione del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha fermato lo scontro finale, uno scenario considerato nelle ore di sabato ormai inevitabile, tra meme e indifferenza mista a stupore di gran parte della popolazione.
Trovare dei vincitori in questa avventura, accostata da qualche osservatore distratto alla marcia su Roma e da altri a un passaggio per una svolta democratica – si vedano i post di quelle ore dell’oligarca Mikhail Khodorkovsky e altre dichiarazioni dei commentatori nostrani – risulta difficile, ma di certo alcuni sono riusciti a salvarsi o addirittura a salire di posizione: Prigozhin, che ha ottenuto di evitare lo scioglimento della Wagner, dovrà comunque ricollocarsi in Bielorussia, e giovedì si sono diffuse voci su una probabile acquisizione del suo piccolo ma rumoroso impero mediatico, che comprende la nota “fabbrica dei troll” dell’Internet Research Agency, dai fratelli Kovalchuk, vicinissimi a Putin; i suoi uomini hanno ottenuto l’impunità, nonostante i militari russi uccisi durante l’avvicinamento a Mosca (ufficialmente 13); Sergei Shoigu, di cui il patron della Wagner aveva chiesto la testa, resta al suo posto e potrà avviare un’operazione di inesorabile repulisti dei simpatizzanti della compagnia privata all’interno dei vertici militari; e infine Aleksandr Lukashenko, intervenuto negli affari interni russi riconquistando in questo modo la ribalta internazionale da cui era stato bandito dopo la repressione delle proteste bielorusse del 2020. Chi perde, sebbene sia riuscito a uscire dalla crisi immediata, è Vladimir Putin, il cui sistema basato sulla proclamata stabilità garantita dalla sua opera di governo dimostra un’accelerazione di quello sgretolamento cominciato nel corso dei mesi di guerra.
Soprattutto Putin è responsabile di aver acconsentito e sponsorizzato la costituzione e l’ascesa della Wagner, inizialmente creatura del GRU, lo spionaggio militare, ma poi diventata sempre più un feudo personale di Prigozhin. La denuncia dei lauti finanziamenti alla compagnia privata, fatta da Putin mercoledì, pone ancora più domande sulla pratica dell’outsourcing della forza armata da parte dell’apparato statale: secondo i dati forniti dal presidente, in un anno la Wagner avrebbe ricevuto più di 86 miliardi di rubli (pari a poco più di un miliardo d’euro) mentre alla Konkord, holding di proprietà di Prigozhin, sarebbero stati garantiti appalti pari a 80 miliardi di rubli per i rifornimenti di viveri alle forze armate russe. Si tratta dell’ammissione di qualcosa già noto ad osservatori e giornalisti, spesso condannati per diffamazione quando ne scrivevano, e che impone delle riflessioni su un sistema considerato erroneamente come monolitico e statalista.
La logica dell’outsourcing è una caratteristica costante delle politiche sociali, sanitarie e dell’istruzione sin dai primi anni della presidenza putiniana – presentata come una sorta di consiglio d’amministrazione della Russia, i cui successi economici erano scanditi dal boom dei prezzi di petrolio e gas. Gazprom, Rosneft, ma anche Lukoil e Bashneft: colossi energetici legati sì allo stato ma non nelle forme di una statalizzazione dell’economia, gestiti in senso privatistico e spesso e volentieri al centro di enormi scandali di corruzione.
Successivamente, con il crollo dei prezzi delle materie prime e la svolta conservatrice e nazional-imperiale del Cremlino, ad esser appaltate sono state le politiche della memoria e l’uso pubblico della storia, con la definizione della linea generale da parte di Putin e l’attuazione da parte di enti come la Società russa di storia militare, presieduta dall’allora ministro della Cultura e oggi consigliere del presidente Vladimir Medinsky, e la Chiesa ortodossa. La narrazione del passato portata avanti da queste strutture vede una netta condanna dell’illuminismo e delle esperienze rivoluzionarie in Russia, dai decabristi ai bolscevichi passando per i populisti e i liberali, e una rivalutazione parziale delle repressioni politiche di ogni tipo.
La Wagner è la testimonianza dell’ultimo, per il momento, tentativo di implementare l’outsourcing come modalità di gestione dello stato, mediando attraverso la distribuzione di prebende e di ricavi. Prigozhin, esterno all’establishment russo, ha saputo giocare le proprie carte infrangendo la regola non scritta di non criticarne pubblicamente i vertici, e negli scorsi mesi la sua retorica populista e anti-elitaria ha riscosso un certo successo, seppur limitato, tra quelle fasce del campo oltranzista che vedono le difficoltà dell’esercito russo causate dalla mancanza di patriottismo e mobilitazione della società. Ma non c’è solo la Wagner ad aver ottenuto l’appalto di una parte del monopolio della forza: seppur inquadrati all’interno del sistema statale, sia l’Akhmat, formazione cecena dipendente da Ramzan Kadyrov, che la Rosgvardiya, la Guardia nazionale russa comandata dal già responsabile della sicurezza di Putin Viktor Zolotov, accrescono il proprio potere e durante le concitate ore della ribellione di Prigozhin ai ceceni è stata data la gestione della liberazione di Rostov e agli agenti di Zolotov l’allestimento dei posti di blocco nei dintorni di Mosca. Ed è stata documentata l’esistenza di Fakel e Potok, due milizie attive in Ucraina organizzate ed equipaggiate dalla compagnia energetica Gazprom.
Nel caso dell’ammutinamento di Wagner abbiamo avuto di fronte agli occhi una testimonianza di una dinamica di sgretolamento della verticale del potere, vero e proprio dogma dei due decenni di Putin al Cremlino. Ma la pratica dell’outsourcing del monopolio della violenza non è un’esclusiva della Russia putiniana, come testimonia il successo di un’azienda come Blackwater (oggi Constellis), i cui rapporti con CIA e Dipartimento di Stato sono simili a quelli di Wagner con lo stato russo. Semplicemente in Russia, in quanto semiperiferia e cerniera tra due mondi, le conseguenze si vedono prima.
Ricercatore di Storia della Russia all’Università Federico II di Napoli, cura il canale Telegram Russia e altre sciocchezze.