Tradurre un fenomeno culturale nato altrove comporta sempre un rischio, l’introduzione di logiche incompatibili con il contesto di destinazione. Avvertiamo questa possibilità osservando nell’Internet anglofono un’espressione idiomatica, ormai talmente comune da quelle parti da essere diventata significativa per la nostra epoca: owning the libs, «sottomettere» o «umiliare» i liberal, un’etichetta che comprende qualunque progressista che si batta per cause come il cambiamento climatico, la regolazione del mercato delle armi e i diritti delle minoranze.
Negli Stati Uniti l’espressione è entrata a far parte del discorso pubblico dall’ascesa di Donald Trump, quando segmenti della destra stanca del tradizionale assetto politico hanno colto l’opportunità di esprimere non soltanto un’opinione diversa rispetto alle teorie sulla «fine della Storia», ma un dissenso radicale e inconciliabile. Il terreno di gioco è quello dei social, dove i conservatori intervengono sulla polemica del momento boicottando le aziende che assumono posizioni troppo woke – ossia percepite come troppo pedagogiche e moralistiche – oppure pubblicizzando gesti performativi, paradossi e battute feroci per suscitare l’impazzimento del nemico antropologico.
Fuori nevica e la colonnina di mercurio scende? Chiedere su Facebook «dov’è il vostro riscaldamento globale adesso?» o «cosa dice Greta?» è un buon esempio dell’owning the libs. Ma si può citare anche il boicottaggio di Target, catena statunitense di supermercati, colpevole di aver esposto capi d’abbigliamento per bambini con scritte pro-Pride e dal colore arcobaleno. O la Schadenfreude che i guerrieri della destra trumpiana manifestano quando le azioni Disney calano dopo l’annunciato remake de La sirenetta con una protagonista nera. Lo stesso progressismo correttivo, del resto, viene percepito da questi segmenti come intrinsecamente bellicoso, e va considerato come una inimicizia assoluta e risolvibile solo nell’annientamento dell’avversario.
Se owning the libs nasce come risposta a problemi culturali che, con tutta evidenza, non sono esclusiva del mondo anglosassone, è possibile identificarne una variante italiana che non sia d’importazione ma autoctona? Certamente sì, se consideriamo le due direttive filosofiche che guidano l’originale: in primo luogo, l’incapacità di ambire a costituire una propria egemonia, che porta a godere dell’ammattimento dell’avversario anziché al tentativo di convertirlo. In secondo luogo, la disperazione verso la percepita egemonia del liberalismo progressista – dal mondo accademico ai giornali, dal cinema alla musica – che provoca una forma di rigetto senza mediazioni.
Con queste caratteristiche, non è difficile identificare una tendenza simile all’owning the libs in quanti anche in Italia rifiutano radicalmente l’offerta dei movimenti progressisti e si sono sentiti traditi dall’ondata nazional-populista del 2018, che rese l’Italia il primo Paese fondatore dell’Ue con un governo dichiaratamente anti-sistema. La parte più irrequieta e no-euro della Lega, guidata dagli economisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi; alcune sezioni della destra «sociale» e filorussa di Fratelli d’Italia; micropartiti come Italia Sovrana e Popolare, Italexit e Pro Italia; siti come 100 Giorni da Leone, l’Antidiplomatico, ControTV e VisioneTV sono solo alcuni esempi di un’area politica e culturale orfana dell’esperimento «giallo-verde», che reagisce a tutte le trappole provenienti dal mainstream progressista scegliendo lo scandalo, il risentimento e il ghigno beffardo. Con un unico obiettivo: «far esplodere la testa alla sinistra».
Come per l’originale anglofono, non si può neppure in questo caso parlare di “movimento” quanto piuttosto di “atteggiamento”, che si manifesta in discorso online italiano dalla natura magmatica, contro una lista di cose: il «politicamente corretto», innanzitutto, ma anche l’attivismo sul cambiamento climatico, il femminismo e il multiculturalismo. Che si tratti di sghignazzare per Giorgia Meloni che sceglie l’articolo maschile «il» nei suoi comunicati ufficiali per riferirsi al suo ruolo di presidente del Consiglio (nonostante per la grammatica italiana sia più corretto il femminile) o di contestare le restrizioni da Covid e l’obbligo vaccinale recuperando, da destra, l’iconografia degli internati in un campo di concentramento nazista come lo slogan «il corpo è mio e me lo gestisco io», si fa «esplodere la testa alla sinistra» tramite una strategia retorica che ruota attorno allo sberleffo.
Negli Stati Uniti, il fenomeno è una presa di posizione sarcastica sull’andazzo politico dell’America facente capo ad una estrazione ideologica semplice, basata su maschilismo, xenofobia, anticomunismo e antimoralismo. Gran parte della sua forza deriva dal fatto che non richiede alcuna militanza politica tradizionale: è una formula ludica che ricorda l’alleanza filosofica tra ironia e trasgressione della sinistra occidentale degli anni Sessanta e Settanta. Proprio per questo motivo, non deve sorprendere che in Italia l’equivalente dell’owning the libs comprenda non solo la destra ma anche una sinistra conservatrice in conflitto principalmente con la sinistra stessa. Un’area che si focalizza sulle contraddizioni prodotte da fenomeni come l’immigrazione o le mutazioni culturali nell’ambito dell’identità di genere, e le politicizza goffamente, cercando di incontrare le sensibilità dell’elettore medio che vota a destra, sulla base di una rappresentazione al negativo del sentire popolare.
Il Movimento 5 Stelle è stato capace per qualche anno di creare un fronte trasversale, di tenere insieme sentimenti reazionari e nostalgici e utopie tecnologiche di emancipazione dal lavoro, redistributive e ambientaliste. Oggi, dalle macerie di quel progetto, emergono sciami di opinione che cercano di catturare altri non integrati con uno spostamento netto dal populismo al sovranismo, dall’anti-elitarismo all’anti-progressismo. Questa sinistra anti-woke, anziché unirsi ai progressisti nel demonizzare i nazionalpopulisti come intrinsecamente razzisti e xenofobi, ha scelto di uscire dalla zona di comfort delle bolle culturali ideologicamente coerenti ma politicamente irrilevanti per inserirsi nelle reali contraddizioni politiche della società contemporanea. Ma nel farlo riesce soltanto a riferirsi ad un «buon senso comune» piatto e depressivo, spacciato come l’unica realtà possibile.
Quel che è più grave è che, al di là dei meme, non è sempre chiaro quali siano gli obiettivi di quest’area nell’unire persone di estrema sinistra ed estrema destra sotto lo stesso ombrello anti-élite. Negli ultimi anni, una serie di istanze di dominio del nazionalpopulismo sembravano destinate a diventare mainstream: sul fronte politico, tuttavia, il bilancio dell’owning the libs è dolorosamente effimero. I movimenti contro i vaccini e a favore di Putin sorgono, proliferano e si disperdono. Piuttosto che per i risultati concreti o per le nuove relazioni sociali, «far esplodere la testa alla sinistra» sembra segnato dalla sua stessa frenesia. Ci sono chiaramente delle linee da tracciare in termini di persone con cui allearsi e dei perimetri da darsi.
Inoltre, il rischio è che tale strategia diventi un vicolo cieco politico, dal momento che non fa altro che generare un’ulteriore ostilità da parte dei liberalprogressisti che vengono «umiliati», sempre più spaventati dalla somma di estremi, e convinti della coincidenza fra le istanze di comunisti e fascisti. Se invece l’obiettivo è trascendere del tutto lo spettro spettro destra-sinistra, si scoprirà che la dicotomia è più difficile da eliminare di quanto si pensi, soprattutto quando si ricorre ad un «senso comune» reazionario che è impossibile da estraniare da quella dicotomia.
Owning the libs può essere visto, nella migliore delle ipotesi, come uno scherzo pesante per difendere la libertà di parola della borghesia dagli eccessi del progressismo. In questo ethos non c’è nessuna visione per il futuro. C’è solo la reazione basilare, dalle tinte particolaristiche, di chi trova «scandaloso» che la società vada in un certo modo. C’è la resa discorsiva alla pancia reazionaria. In quanto alla sinistra anti-woke che adopera la stessa narrazione dei conservatori di destra – scegliendo l’insofferenza per qualsiasi forma di pedagogia pubblica e di correttivi alla borghesia – non può che lasciare che siano i secondi ad avere la meglio, e a sussumerne i temi e le istanze, risultando owned una volta per tutte.

Scrittore e giornalista, si occupa di antropologia economica. Il suo ultimo libro è Appugrundrisse (minimum fax, 2022).