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Le notizie sul progressivo invecchiamento della popolazione italiana ed europea sono una costante ciclica nell’informazione, eppure non è mai nato un serio dibattito pubblico sul tema. Alessandro Leonardi, analista politico esperto di crisi della modernità, sulle origini e conseguenze di questo tabù, che è anche il tabù del declino italiano

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La trama distopica del film I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, uscito nel 2006 ed ambientato in un mondo afflitto da 18 anni di sterilità collettiva, si sta lentamente rivelando una cupa profezia sul futuro dell’Occidente. Il crollo della natalità, l’aumento dell’infertilità, la militarizzazione dei confini, la sotterranea paura della “sostituzione etnica” e la decadenza delle democrazie sono ormai dei trend consolidati nelle nostre società. Gli stessi scenari di guerra proposti nel film sono visivamente simili a quelli che vediamo attualmente in Ucraina e a Gaza. Nella pellicola la speranza di un nuovo corso è incarnata da una migrante africana incinta, metafora della crescita della giovane popolazione africana, mentre i Paesi avanzati si consumano in un inverno demografico, fra la depressione sociale dilagante e un “sensus finis” paranoide. 

Tale nuova, desolante realtà si può osservare soprattutto in Italia, epicentro di un “esperimento” collettivo inedito, dove si prospetta nel prossimo futuro un Paese estremamente anziano, povero, semi-deserto e in cui i pochi giovani sono abbandonati al loro destino. Ma l’inquietante quadro che emerge dai trend demografici italiani risulta molto simile a quello delle altre nazioni avanzate – spiegando così gli appelli di Elon Musk, le mosse disperate dei governi giapponesi ed il recente “riarmo demografico” francese proposto da Macron. 

Dal 2014 il nostro Paese ha registrato un calo della popolazione pari a quasi un milione e mezzo di abitanti, non compensato dai flussi migratori. L’età media degli italiani continua ad aumentare (46,4 anni nel 2023) risultando la seconda più alta al mondo dopo il Giappone, mentre il tasso di fertilità rimane nettamente sotto il tasso necessario per mantenere stabile la popolazione (2,1 figli per donna, in Italia fermo a 1,24). Allo stesso tempo siamo stati la prima nazione al mondo dove gli under 15 sono stati superati dagli over 65 a livello numerico, un destino che entro il 2040 dovrebbe toccare anche agli under 35, e secondo l’Eurostat saremo i primi a portare l’età mediana oltre i 50 anni. Una combinazione pericolosa fra calo della popolazione, calo delle nascite e un invecchiamento generale senza eguali, in un contesto di declino economico, debole welfare state, precarietà lavorativa ed esistenziale sempre più diffusa.

Per la prima volta nella storia la nostra società ha sostanzialmente scelto di declinare in maniera pacifica, senza bisogno di pandemie, guerre o carestie, innescando un circolo vizioso con effetti a cascata. Ma nonostante l’evidenza dei processi in corso, la demografia rimane una sorta di tabù, sia a livello di dibattito pubblico, sia nelle alte sfere del potere. I rituali articoli di allarme pubblicati dopo ogni rapporto Istat scivolano nell’indifferenza e gli “Stati generali della Natalità” si riducono ad una irrilevante kermesse dello spazio di pochi giorni. La questione demografica è come se non esistesse, perfetto simbolo della negazione psicologica di massa che sta pervadendo il Paese. 

Il disinteresse sistematico della politica italiana, interrotto solo da slogan inutili e campagne ridicole, è frutto dell’antica eredità del fascismo con le sue “campagne demografiche”, che hanno portato il variegato arco della sinistra ad evitare quasi sempre l’argomento, anche in nome dell’emancipazione femminile, mentre a destra si è rimasti ancorati a pensieri retrogradi, senza sostanza e realismo, preferendo tutelare l’individualismo capitalista nei fatti fra i più potenti fattori che alimentano la crisi in corso.

A causa dell’assenza di un dibattito serio e sistematico, alcuni opinionisti sono arrivati a pensare che blande misure economiche (come l’assegno unico e universale) siano una soluzione efficace per rilanciare la natalità, non avendo compreso nulla delle profonde trasformazioni culturali, sociali ed economiche, avvenute nella seconda metà del ’900, che hanno stravolto le priorità delle giovani generazioni.

Grazie al progresso industriale-tecnologico i Millennial e i membri della generazione Z non hanno più come obiettivo primario la procreazione e anche quelli che vorrebbero avere dei figli si ritrovano in una situazione di  profonda precarietà esistenziale, staccati dai cicli del mondo naturale e immersi in  ritmi artificiali responsabili delle nevrosi di massa. Una serie di condizioni che non favoriscono la creazione di nuclei familiari stabili, specialmente in un’epoca in cui è scomparsa la prospettiva di un futuro collettivo e positivo. 

In Italia il declino demografico rimane un argomento di secondo piano, ma il suo trend pluridecennale presenta una serie di gravi problemi che stanno corrodendo il funzionamento della nostra società, alimentando quel declino strutturale che minaccia l’esistenza della Repubblica Italiana. Oltre agli impatti sul mondo del lavoro, sul sistema economico-pensionistico e sulla sanità pubblica, minati da una popolazione eccessivamente anziana e bisognosa di cure, il calo demografico finisce per sbilanciare il funzionamento politico-democratico verso le generazioni più anziane (un elettorato tendenzialmente più fedele al voto rispetto ai pochi giovani), fossilizzando il Paese in visioni politiche antiquate e di breve respiro, inadatte ad affrontare i cambiamenti globali di questi anni. L’età media sempre più alta ha di fatto creato una popolazione avversa al nuovo, al rischio, al futuro, più predisposta al “conservatorismo” in ogni campo, a partire da quello politico-culturale. La caduta della vitalità generale imprigiona le forze migliori del Paese, finendo per instaurare un ciclo perverso dove molti giovani scappano all’estero, mentre gli altri rimangono incastrati in un modello cristallizzato e solipsista.

Al contrario di quello che sostengono diversi ambientalisti radicali, favorevoli ad un progressivo spopolamento volto a ridurre l’impronta umana sull’ecosistema, non esiste alcuna “decrescita felice” della popolazione, specialmente in un modello economico globale che richiede dogmaticamente un dinamismo senza pari per stare al passo dell’innovazione tecnologica e della competizione serrata fra le varie Potenze. Nessuna nazione avanzata può uscire unilateralmente dall’architettura globale, non senza pagare un immenso prezzo economico e sociale. 

Per queste complesso mix di fattori alcuni esperti sono arrivati a considerare come unica, realistica soluzione, l’accettazione di flussi migratori continui (200/250.000 migranti radicati ogni anno) nel tentativo di ripristinare un equilibrio demografico interno soddisfacente. Ma questa parziale soluzione si scontra con le problematiche imposte dalla gestione dei flussi migratori, fra reazioni xenofobe di massa, conflitti etnico-culturali, fragilità dei processi di integrazione e il fatto che una parte consistente dei migranti non vuole stabilirsi definitivamente in Italia, preferendo fuggire verso il più ricco e promettente Nord Europa. Una parte del vecchio mondo non vuole il nuovo in ascesa, mentre i sistemi statali sono sempre meno funzionali e responsivi. I flussi migratori dell’ultimo decennio hanno spinto il continente in direzione opposta a quella suggerita dai demografi, con l’instaurazione della “Fortezza Europa”.

L’Italia rimane quindi incastrata nella trappola demografica, dove ogni anno diminuisce la coorte delle donne in età fertile, senza un chiaro dibattito su questo problema, senza delle misure per affrontarlo con lungimiranza, con un’evidente rimozione della questione nella coscienza pubblica in nome di un surreale presente, offuscato da latenti pulsioni nostalgiche. La nostra nazione è in prima linea nell’“esperimento demografico” in corso nei Paesi avanzati e verrà osservata molto attentamente dai demografi delle altre nazioni come una sorta di canarino nella miniera. 

La mancanza di risposte efficaci e l’acuirsi della crisi molto probabilmente alimenteranno anche la spinta verso possibili forme di autoritarismo, con chiusura a riccio delle comunità presenti e un disperato tentativo di tutelare lo status quo economico-politico. Ma se da una parte avremo una nazione estremamente vecchia con scarsa voglia di reagire, dall’altra un giovane continente africano (età media inferiore ai 20 anni) vedrà aumentare la sua popolazione di oltre 1 miliardo di persone entro il 2050, diventando con il tempo un elemento decisivo per il nostro futuro. 


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