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L’uccisione del 17enne Nahel M. da parte di un poliziotto nella banlieue parigina di Nanterre ha provocato rivolte in tutta la Francia, rapidamente represse con violenza. Il mandante, però, non è il governo ma la polizia stessa rivelando come anche in Occidente lo Stato si stia dimostrando inadeguato nella gestione delle sue propaggini fondamentali. Pubblichiamo un commento di Raffaele Alberto Ventura, filosofo e scrittore residente a Parigi.

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A una settimana dall’omicidio del giovane Nahel M. a Nanterre da parte di un agente di polizia, sono bastate le immagini spettacolari delle rivolte delle banlieues per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica: dalla deriva securitaria al problema dell’insicurezza.

Fin dal primo momento, il potere si era trovato nell’impasse di dover sia condannare il gesto, per non eccitare gli insorti, che tener buona la polizia, poiché da essa dipende per disciplinare una società divenuta ingovernabile. L’agente responsabile è stato incriminato per omicidio ma il governo non ha in nessun modo manifestato l’intenzione di affrontare alla radice il problema ricorrente della violenza poliziesca. Eppure nell’ultimo decennio è emersa una vera e propria “anomalia francese” nella gestione dell’ordine pubblico, come segnalato anche da organizzazioni internazionali come l’ONU. Il numero di feriti, mutilati e morti è sconcertante, sia in termini assoluti che rispetto agli altri paesi europei, e in continuo aumento.

Per una parte della popolazione francese, presa di mira per le sue caratteristiche etniche o ostacolata nell’esercizio di attività extralegali da cui dipende per il sostentamento, la polizia ha tradito la promessa di garantire sicurezza e anzi appare lei stessa come una fonte d’insicurezza. D’altronde la sicurezza ha inevitabilmente un rendimento decrescente, e oltre una certa soglia costa più di quanto restituisce alla società. L’anomalia francese si spiega, in parte, con l’aumento dei problemi di ordine pubblico, dalla microcriminalità ai movimenti (gilets jaunes, riforma delle pensioni…) sempre più combattivi. L’anomalia nella gestione dell’ordine si spiega anche con la mancanza di risorse che consentirebbero di addestrare adeguatamente gli agenti e garantire una forza deterrente che minimizzi il rischio di incidenti.

Tuttavia queste spiegazioni non bastano a chiarire l’incapacità dei governi di riformare la polizia. Nulla è stato fatto negli anni per regolamentare tecniche pericolose come il placcaggio a terra e l’uso di armi da guerra (vietate nella maggior parte degli altri paesi) come gli LBD e le granate lacrimogene GLI-F4. Al contrario, una nuova legge del 2017 aveva ulteriormente allentato le condizioni per l’uso delle armi. Nulla è stato fatto per ponderare costi e benefici delle politiche di sicurezza, né per raccogliere dei feedback dal campo e correggere eventuali disfunzioni. Il sistema di segnalazioni approntato dalla IGPN, la cosiddetta “polizia delle polizie”, è considerato del tutto inefficace. Si sono dovuti attendere dei video amatoriali, come quello che riprende l’omicidio di Nahel M., per rendere noto il problema all’opinione pubblica.

Eppure anche di fronte a questo ultimo evidentissimo abuso di potere, si è assistito agli esercizi di equilibrismo di un governo attento a non inimicarsi la polizia. Se è vero che il potere politico consiste nel monopolio della violenza legittima, ci si chiede oggi in Francia se l’esecutivo detenga effettivamente questo monopolio. Jean-Luc Mélenchon, leader del principale partito della sinistra, ha parlato di una polizia “sfuggita al controllo del potere”. In effetti il ricorrente abuso della forza non mostra uno Stato forte, ma uno Stato che non riesce più a tenere a bada la sua polizia e deve quindi tollerare i suoi eccessi. Viene in mente la canzone di Pinocchio quando smette di essere un burattino: “Fili avevo ed or non più”.

I sindacati di polizia hanno moltiplicato le prove di forza negli ultimi anni, al fine di ottenere un’autonomia crescente. Essi sono consapevoli del loro ruolo fondamentale nella gestione delle numerose crisi che hanno colpito il paese, incluso il terrorismo, e hanno ripetutamente denunciato la situazione drammatica nelle periferie. Mobilitati in forze per gestire anche quest’ultima crisi, i rappresentanti sindacali hanno insistito sull’esasperazione delle truppe. Più volte hanno manifestato per chiedere maggiori risorse o, in mancanza di risorse, meno vincoli alla propria azione. Hanno manifestato, inoltre, davanti a ogni tribunale in cui veniva processato uno dei loro.

Le pesanti dichiarazioni dei sindacati di polizia in seguito ai fatti di Nanterre – hanno evocato lo spettro di una guerra civile e inneggiato alla “resistenza”, un termine che oggi in Francia appartiene a pieno titolo al lessico dell’estrema destra – esprimono la tentazione di una deriva autoritaria. Secondo i sondaggi, almeno metà dei poliziotti vota per il partito di Marine Le Pen. Il paese, che nel Novecento ha avuto due militari come capi di Stato – un maresciallo e un generale – ancora oggi è sedotto dagli uomini forti al potere, come mostra la popolarità dell’ex-capo di stato maggiore Pierre de Villiers, che nel 2017 si era scontrato con il governo in merito al budget militare insufficiente ed era diventato un idolo per i gilets jaunes.

Nella cosiddetta “fasciosfera” digitale si è fatta strada da tempo l’idea che in un contesto prodromico di guerra civile la polizia dovrebbe essere libera di agire nelle periferie come il giudice Dredd dei fumetti, all’insegna della giustizia sommaria. La raccolta di fondi per il poliziotto “che ha fatto il suo lavoro” (sic) lanciata dal partito di Éric Zemmour ha già raccolto quasi un milione di euro, contro i poco più di centomila per la famiglia di Nahel. L’ipotesi di una deriva poliziesca seduce di tutta evidenza parte della popolazione e della classe politica, a fronte di un contesto che Macron aveva definito di “decivilizzazione”. In effetti la repressione va a compensare il difetto di legittimità delle istituzioni e la disintegrazione delle strutture informali che dovrebbero garantire l’autoregolazione della società civile senza la stampella dell’uso della forza. La polizia trae una rendita della disintegrazione. Ma come sapeva Machiavelli, un potere ridotto alla sola repressione è un potere indebolito. Lo si vede già dalle rivolte di questi giorni: è impossibile proteggere ogni strada, ogni negozio, ogni autobus da una massa inferocita – a meno forse di un massacro, cioè la “repressione feroce” chiesta da Zemmour.

Era ingenuo credere che si potesse “integrare” pacificamente una società solcata da squilibri socio-economici tanto vistosi, che riproducono la vecchia struttura coloniale. Ingenuo che istituzioni percepite come razziste possano anche essere riconosciute come legittime. Una società che non ha altri puntelli se non la coercizione non è più una società, è una folla; e oggi la polizia francese pretende di essere l’unica in grado di contenere questa folla. La sollevazione delle banlieues – che lei stessa ha provocato – fornisce il pretesto ideale per reclamare ancora più potere, risorse e impunità. Questo, però, non può più essere fatto entro i confini dello Stato di diritto. La polizia, l’estrema destra e gli influencer identitari hanno detto chiaramente che questo non è un problema per loro.

La sinistra denuncia, senza mezzi termini, “una minaccia di sedizione”. Se le istituzioni repubblicane sono formalmente solide, bisogna osservare che il registro eversivo è ormai pienamente sdoganato, dai partiti di destra come dai sindacati della polizia, e che dopo questi giorni di fuoco – che hanno paradossalmente rafforzato l’immagine delle forze dell’ordine – sarà ancora più difficile risolvere l’anomalia. Il potere francese subisce il tipico “stiramento” che affligge gli imperi quando non riescono più a controllare la totalità del proprio territorio mentre gli organi che hanno delegato alla violenza iniziano a vivere di vita propria.


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