L’invasione russa dell’Ucraina entra nel suo terzo anno e, dopo aver stravolto la nostra visione del mondo, è ormai diventato un evento quasi marginale nelle nostre vite. Non è così per gli ucraini, costretti a confrontarsi con la guerra ma anche con una società in continua evoluzione – e non necessariamente verso il meglio. Ne abbiamo parlato con Marta Havryshko, storica ucraina e assistant professor presso la Clark University.
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Nei primi mesi dell’invasione, la popolazione ucraina ha risposto con una mobilitazione di massa, portando migliaia di persone ad arruolarsi e ad avviare progetti di resistenza civile indipendente contro l’occupazione. Cosa resta oggi di questo sentimento, a tre anni dall’inizio della guerra?
La mobilitazione della società in Ucraina all’inizio dell’invasione del febbraio 2022, è stata incredibile: persone di età, generi, classi sociali, opinioni politiche, identità etniche e status militari diversi si sono unite per la difesa del paese, accomunate da un profondo senso di ingiustizia, risentimento, rabbia e dolore. L’elemento sorpresa ha giocato un ruolo significativo in questo processo, dal momento che la maggior parte delle persone in Ucraina non credeva che la Russia avrebbe lanciato una guerra su vasta scala e speravano che l’ammassarsi delle truppe russe vicino ai confini ucraini fosse solo una dimostrazione di forza e un atto di intimidazione. Molti non potevano credere che dietro la retorica delle “nazioni fraterne” sarebbero arrivati carri armati tutt’altro che fraterni. E non si trattava solo del governo russo: la mattina del 22 febbraio [dopo che Putin ha annunciato il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Luhansk e avviato i primi movimenti di truppe sul suolo ucraino, ndr], molti ucraini hanno contattato i propri parenti, amici e conoscenti in Russia, per chiedere loro cosa pensassero della decisione di Putin e scoprendo così che bene o male la sostenevano, promettendo anzi la “liberazione” dal cosiddetto “regime di Kyiv”.
Non c’è stata in realtà nessuna liberazione ma solo morte e distruzione, e non a caso un altro fattore unificante è stato fornito proprio dai crimini di guerra commessi dai russi; numerosi reportage, dichiarazioni di politici e attivisti per i diritti umani, così come le testimonianze di testimoni oculari e sopravvissuti, raccontarono di omicidi, rapimenti, torture e stupri di civili, inclusi bambini – eventi che hanno scioccato la popolazione e ne hanno alimentato il desiderio di giustizia e vendetta. Un altro elemento che ha contribuito alla vasta mobilitazione della società è stato il successo dell’esercito ucraino, dapprima nella regione di Kyiv e poi a Kharkiv e Kherson. Molte persone si sono sentite ispirate dal fatto che il piano di Putin di catturare Kyiv in tre giorni fosse fallito. La speranza in ulteriori vittorie è stata rafforzata dalla resistenza dell’Ucraina contro un esercito che si proclamava il secondo più potente al mondo e così il mito di “Davide e Golia” è diventato un’illusione diffusa in tutto il paese.
Col tempo, però, l’entusiasmo della popolazione ha cominciato a scemare, mentre la guerra si trasformava in un conflitto di logoramento, nella quale l’Ucraina è la parte significativamente più debole in termini di risorse umane e materiali. Gli aiuti provenienti dall’Occidente sono insufficienti, mentre i tempi di consegna e le condizioni di utilizzo sono spesso ostaggio di intrighi politici, sia all’interno dei singoli paesi occidentali che tra diversi partner occidentali. Una delle conseguenze di ciò è stata la serie di fallimenti dell’esercito ucraino sul campo di battaglia, divenuti sempre più frequenti negli ultimi mesi. Il calo di entusiasmo si nota soprattutto nel processo di mobilitazione, per cui se prima c’erano lunghe file ai centri di arruolamento, ora si verificano aggressioni e persino omicidi di ufficiali di leva e attacchi alle stazioni di reclutamento. È possibile che alcune delle persone coinvolte in questi atti abbiano legami con i servizi segreti russi e stiano eseguendo operazioni volte a destabilizzare la situazione politica interna dell’Ucraina, ma è fuori discussione che il malcontento per la mobilitazione forzata stia crescendo. Stando ai sondaggi, oggi il 67% degli ucraini “non si fida” degli ufficiali di leva. Questi ultimi vengono accusati di usare la forza, rapire, picchiare e persino uccidere uomini civili. La situazione è degenerata al punto che alcuni soldati, quando sono in licenza, evitano di indossare la divisa militare per paura di essere scambiati per ufficiali di leva e alcuni veicoli militari ora portano adesivi con la scritta “Not TRC” (ovvero “Centro di Reclutamento Territoriale”) per evitare atti di vandalismo o incendi dolosi. Molte persone cercano di evitare la mobilitazione con ogni mezzo possibile. Ottengono certificati medici falsi per malattie inesistenti, diventano insegnanti o studenti, oppure si fanno riconoscere come caregiver di parenti disabili. In altre parole, i giovani uomini sfruttano ogni possibile scappatoia legale per evitare il servizio militare. Altri pagano fino a 20.000 dollari per fuggire dall’Ucraina. Alcuni sono persino disposti a rischiare la vita attraversando fiumi e montagne – tentativi che talvolta finiscono in tragedia. Anche tra il personale militare l’entusiasmo sta calando. Coloro che si erano arruolati volontariamente nei primi giorni della guerra ora sono esausti e non vedono alcuna prospettiva di smobilitazione. Viene detto loro di resistere perché non c’è nessuno a sostituirli. La mancanza di riposo e l’impossibilità di lasciare l’esercito li demotiva. Alcuni soldati ricorrono a forme performative di “auto-smobilitazione” per attirare l’attenzione sul problema. Altri sono insoddisfatti delle competenze dei loro comandanti, che fissano obiettivi irrealistici e costringono i subordinati a partecipare a operazioni definite “ondate di carne da macello”. Di conseguenza, decine di migliaia di soldati hanno disertato l’esercito, e questo numero continua a crescere.
Il conflitto in Ucraina è stato ampiamente rappresentato dai media occidentali come una vera e propria guerra di liberazione nazionale contro l’ingerenza culturale e poi militare della Russia. Questa visione è condivisa dalla popolazione ucraina? Quanto è ancora diffusa dopo tre anni di guerra?
Putin afferma costantemente che l’Ucraina è un’entità artificiale, mentre la retorica aggressiva, disumanizzante e alienante dei politici e dei media russi dipinge gli ucraini come inferiori rispetto ai russi e semplici burattini di Washington. Di conseguenza, l’aggressione russa contro l’Ucraina viene inquadrata dalla propaganda di Putin come una “liberazione” dal “regime di Kyiv”, descritto come dannoso per la gente comune e orientato esclusivamente agli interessi dell’Occidente. Allo stesso tempo, questa “liberazione” assume i tratti di una punizione per disobbedienza e tradimento. In altre parole, la logica di questa violenza è simile a quella della violenza domestica, in cui i membri più anziani e potenti della famiglia abusano della loro autorità e impongono la loro volontà ai più deboli. In questa concezione, quindi, Ucraina e Russia appaiono come membri di un’unica grande famiglia, con precise gerarchie e relazioni di potere.
La svolta etnonazionalista della società ucraina è stata in parte una reazione a queste rappresentazioni dell’Ucraina da parte del Cremlino. Gli ucraini, per affermare la loro soggettività, sostengono di non essere russi, di avere una storia, una cultura e una lingua proprie, e il diritto di determinare il proprio futuro politico. Purtroppo, anche questa auto-affermazione assume spesso forme spiacevoli che portano a discriminazioni e violenze all’interno dell’Ucraina stessa, come nel caso dei progetti di legge che vietano l’uso della lingua russa nelle scuole, i divieti informali per gli studiosi di citare letteratura pubblicata in Russia o gli attacchi alle chiese ortodosse appartenenti al Patriarcato di Mosca. Tuttavia, per molti è ormai chiaro che il movimento “lontano da Mosca” ha portato l’Ucraina a una totale dipendenza economica, politica e militare dagli alleati occidentali, che ne influenzano in modo significativo le principali decisioni militari e la pianificazione delle operazioni belliche. Sono loro a fare pressioni sull’Ucraina affinché abbassi l’età della mobilitazione a 18 anni e indirettamente operano un forte controllo anche sullo spazio informativo ucraino, poiché il 90% dei media ucraini opera grazie a finanziamenti occidentali. Inoltre, la vita delle fasce più vulnerabili della popolazione ucraina dipende direttamente dagli aiuti occidentali, se si pensa che più di 10 milioni di pensionati ucraini, centinaia di migliaia di insegnanti, medici, dipendenti pubblici e persone con disabilità ricevono stipendi e pensioni grazie agli aiuti occidentali.
Il discorso sulla liberazione nazionale è stato strettamente legato alla costruzione di un’identità nazionale ucraina completamente svincolata dal passato sovietico, spesso attraverso una riscrittura della storia, in particolare per quanto riguarda la Seconda guerra mondiale. Questo processo ha incluso persino la riabilitazione di figure legate al nazismo – sebbene in Occidente questo aspetto venga spesso minimizzato come propaganda filorussa. Quali tracce ha lasciato questo processo nella società ucraina e come si sta evolvendo?
Il nazionalismo richiede una tradizione, che in questo caso diventa una tradizione eroica di lotta di liberazione nazionale. Di conseguenza, il nazionalismo moderno in Ucraina si basa principalmente sulla memoria del movimento nazionalista ucraino, in particolare sull’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e sulla sua ala militare, l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che condusse una prolungata lotta antisovietica durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Di conseguenza, nella moderna narrativa nazionalista, la Russia contemporanea viene paragonata a quella bolscevica e le forze armate ucraine vengono assimilate all’UPA. Questa narrazione viene plasmata ai più alti livelli statali attraverso le leggi sulla memoria del 2015, l’Istituto ucraino della Memoria Nazionale e altre istituzioni governative. Gli attori statali, operando sotto le direttive della “decomunistizzazione” e “decolonizzazione“, rimuovono monumenti ai soldati dell’Armata Rossa e ai partigiani sovietici, cancellandone la memoria dai nomi delle strade, dalle scuole e dalle istituzioni culturali, mentre al loro posto, vengono onorati gli ideologi e le figure del nazionalismo integrale ucraino, come Mykola Mikhnovsky, Dmytro Dontsov, Stepan Bandera, Roman Shukhevych e Andriy Melnyk. Allo stesso tempo, la commemorazione delle date storiche associate a queste figure in Ucraina mostra elementi di mitizzazione, caratterizzati dalla glorificazione e dall’omissione di aspetti scomodi – come la partecipazione all’Olocausto, i crimini di guerra contro la popolazione polacca in Volinia e Galizia, e il terrore contro attivisti del partito sovietico, insegnanti, leader delle fattorie collettive e chiunque criticasse le azioni nazionaliste.
La caratteristica principale di questo mito storico è che gli individui che hanno combattuto per la statualità ucraina contro i sovietici vengono considerati immuni da critiche, indipendentemente dal loro coinvolgimento in crimini di guerra e dalle loro posizioni etnonazionaliste, spesso intrise di razzismo, xenofobia, autoritarismo e antisemitismo. Ciò porta talvolta a estremi assurdi, come la giustificazione e la glorificazione di collaboratori del regime nazista. Nel settembre 2023, la 3ª Brigata d’Assalto, i cui comandanti principali sono legati al movimento Azov, ha inaugurato una mostra nel Museo di Kyiv, in cui i suoi combattenti sono stati paragonati ai membri della Divisione Waffen-SS Galizia. Inoltre, unità come Karpatska Sich, la Legione Svoboda e altre celebrano apertamente l’anniversario della creazione della Divisione Waffen-SS Galizia e la battaglia di Brody del luglio 1944, la più grande combattuta contro i sovietici. Una delle unità militari delle Forze Armate ucraine porta il nome “Nachtigall”. Nella tradizione militare ucraina, esisteva solo un’unità con questo nome: un battaglione della Wehrmacht che entrò a Leopoli insieme ai tedeschi il 30 giugno 1941 e che successivamente partecipò ai pogrom anti-ebraici nella regione di Vinnytsia.
Questo fenomeno riflette una tendenza preoccupante in cui le narrazioni storiche vengono manipolate per adattarsi alle ideologie contemporanee, col rischio di oscurare le atrocità commesse da quei regimi. Questo approccio revisionista può portare alla normalizzazione di ideologie estremiste, minando i valori democratici dell’Ucraina e i suoi sforzi per costruire un’identità nazionale che rifiuti sia il totalitarismo che il nazionalismo radicale. La celebrazione della lotta della Germania nazista contro l’Unione Sovietica sta assumendo forme pericolose all’interno dei circoli militari in Ucraina, portando di fatto alla riabilitazione del nazismo e alla sua rappresentazione come il male minore rispetto al comunismo. Ad esempio, l’unità “Vedmedi” della 36ª Brigata Marina Separata ha nel proprio logo ufficiale i fulmini delle SS (usato ufficiosamente anche da altre brigate insieme ad altri simboli nazisti) e usa lo stesso motto delle SS – “Il mio onore è la fedeltà”. Simboli nazisti sono usati ufficiosamente anche in altre brigate.
Dall’inizio della guerra, gli ucraini hanno visto la solidarietà occidentale nei loro confronti trasformarsi rapidamente in apatia e persino fastidio. A tre anni dall’invasione e a undici dalla rivoluzione di Euromaidan, come percepiscono oggi i loro alleati e la decisione di avvicinarsi all’Occidente?
La propaganda militare ucraina rappresenta la guerra attraverso discorsi orientalisti e razzializzati, descrivendola come un confronto tra il “mondo civilizzato”, di cui anche l’Ucraina farebbe parte come scudo dell’Occidente, e i “barbari” dell’Oriente. Allo stesso tempo, in Ucraina vi è un forte risentimento nei confronti degli alleati, derivante dalla percezione di una sua “politica di appeasement” verso Putin, segnalata dalle risposte inadeguate alle ingerenze rispetto agli eventi in Crimea e nel Donbas, al ritardo nell’imposizione delle sanzioni e dalla mancata garanzia di sicurezza al paese promessa dal Memorandum di Budapest. Gran parte del dibattito ucraino ruota attorno agli aiuti militari forniti dai paesi occidentali dopo l’invasione su larga scala della Russia. I politici occidentali sono accusati di ritardi nella fornitura di armi, di aver imposto eccessive restrizioni sul loro utilizzo nel territorio russo e di aver stretto accordi segreti con Putin che avrebbero permesso all’esercito russo di evitare una sconfitta strategica, mossi dal timore che Putin possa scatenare una guerra nucleare. Di conseguenza, in Ucraina si levano sempre più voci che sostengono che l’Occidente non stia facendo abbastanza per garantire la vittoria dell’Ucraina, ma si stia semplicemente limitando a prevenirne la sconfitta finale, che potrebbe comunque diventare inevitabile.
L’ala più nazionalista della società, in particolare i membri del movimento Azov, del Settore Destro e di altri gruppi di estrema destra, sostiene apertamente che i valori liberali – la cosiddetta “agenda di sinistra” in cui rientrerebbero i discorsi sulla diversità, l’inclusione e le politiche identitarie – abbiano indebolito l’Europa, rendendola incapace di difendersi dalle minacce militari provenienti dalla Russia e dai suoi alleati, Cina, Iran e Corea del Nord. Sono convinti che sia l’esercito ucraino, con la sua vasta esperienza nella guerra moderna e tecnologica, a dover giocare un ruolo chiave nella protezione dei paesi occidentali e a questo scopo l’Occidente deve continuare ad armare l’Ucraina, considerata un baluardo cruciale contro le sfide geopolitiche poste da queste potenze autoritarie.
Nonostante tutto lo scetticismo verso l’Occidente, una parte significativa dei cittadini ucraini vuole ancora vedere il proprio paese nell’UE e nella NATO. A gennaio 2024, secondo il Centro Razumkov, l’88% degli intervistati supportava l’adesione dell’Ucraina all’UE e l’86% sosteneva l’ingresso nella NATO. È importante notare che questi dati riflettono le opinioni delle persone che vivono nei territori controllati dall’Ucraina (circa il 20% del territorio ucraino è occupato dalla Russia) e non tengono conto delle opinioni di milioni di rifugiati ucraini all’estero. Come si può vedere, l’entusiasmo di molti ucraini nei confronti dell’UE e della NATO è piuttosto alto. Questo è in parte dovuto al discorso politico in Ucraina, che ha trasformato l’idea di entrare nella NATO in una specie di “culto religioso”, presentandolo come l’unica garanzia affidabile contro l’aggressione russa. Allo stesso tempo, tali illusioni sono in parte alimentate dalla retorica di alcuni leader politici europei. Tuttavia, sembra che l’arrivo di Trump al potere possa modificare questo discorso in Occidente e ridurre le aspettative degli ucraini.
La crisi dei rifugiati scoppiata all’inizio della guerra è stata la prima di questa portata dai conflitti nella ex Jugoslavia e la più grande in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Sebbene una buona parte dei rifugiati sia ormai rientrata, questa esperienza ha lasciato un segno duraturo nella società ucraina? Se sì, in che modo?
Secondo il governo, attualmente circa 25 milioni di ucraini vivono al di fuori del paese, 7,5 milioni dei quali hanno lasciato il paese dall’inizio dell’invasione russa. Tuttavia, il flusso migratorio continua e infatti solo nel 2024, circa 500.000 persone hanno lasciato il paese senza farvi ritorno. Più a lungo durerà la guerra, più persone cercheranno sicurezza e nuove opportunità per sé e per i propri figli altrove. Sarà molto difficile per l’Ucraina riportarli indietro, poiché non è in grado di garantirne i bisogni di sicurezza fondamentali. Le autorità ucraine stanno già cercando di dimostrare il loro interesse nel far rientrare gli ucraini, promettendo di non ricorrere alla coercizione, ma le speranze rimangono molto incerte. Secondo i demografi, se la guerra dovesse finire, l’Ucraina potrebbe aspettarsi il ritorno, nella migliore delle ipotesi, di circa la metà di coloro che sono fuggiti durante il conflitto, ovvero circa 3 milioni di persone. Studi condotti in diversi paesi mostrano che la percentuale di rifugiati ucraini che esprimono il desiderio di restare nei paesi che li hanno accolti è in aumento. Questo non sorprende, poiché con il tempo le persone si abituano al nuovo ambiente, trovano lavoro e i loro figli frequentano le scuole locali. Soprattutto, questi paesi non stanno affrontando la guerra come l’Ucraina, che confina con la Russia, vista da molti come una minaccia costante.
La guerra e i flussi migratori stanno spingendo l’Ucraina sull’orlo di una catastrofe demografica: ad oggi, il tasso di natalità in Ucraina è tre volte inferiore a quello di mortalità. Un numero significativo di giovani donne in età fertile ha lasciato il paese e continuerà a farlo, mentre quelle rimaste non vogliono avere figli a causa della difficile situazione economica e della mancanza di sicurezza. Il divieto di aborto, che ultranazionalisti e conservatori stanno chiedendo, non porterà ai risultati sperati ma peggiorerà ulteriormente la condizione già critica delle donne, soprattutto nelle aree rurali e nelle regioni vicine al fronte. Un’altra sfida della guerra è la carenza di forza lavoro, in particolare tra gli uomini. Nel 2025, l’aspettativa di vita media maschile in Ucraina è di 57 anni, principalmente a causa dell’elevato numero di caduti al fronte. Molti giovani uomini in età lavorativa stanno lasciando il paese con mezzi sia legali che illegali. Altri lasciano volontariamente il lavoro per evitare di essere individuati dagli ufficiali di leva. Di conseguenza, alcune aziende ucraine stanno assumendo lavoratori stranieri, che non sono soggetti alla coscrizione. Ad esempio, un produttore di mobili in Transcarpazia ha recentemente assunto lavoratori provenienti dal Bangladesh. Queste, però, sono solo misure temporanee che non possono cambiare radicalmente la situazione critica del mercato del lavoro in Ucraina.
Nelle ultime settimane, l’amministrazione Trump e anche lo stesso Zelensky hanno menzionato sempre più spesso la possibilità di una soluzione diplomatica al conflitto, che potrebbe prevedere la cessione di alcuni territori occupati. Quanto è realistica questa prospettiva e quale impatto avrebbe sulla percezione che l’Ucraina ha di sé stessa come nazione?
Il cambiamento nella retorica del presidente Zelensky va principalmente imputato alle trasformazioni nella leadership politica degli Stati Uniti. Il neo-eletto presidente Donald Trump e i membri del suo team hanno ripetutamente sottolineato che la guerra russo-ucraina deve giungere a una conclusione, al punto che Trump si è persino vantato di poterlo fare in “24 ore”. Data la totale dipendenza dell’Ucraina dagli Stati Uniti in termini militari, economici e politici, nonché l’incapacità dell’Europa di sostituire gli USA in questo ruolo, la leadership politica ucraina sarà costretta a fare alcune concessioni. Pertanto, sembra del tutto possibile che Zelensky possa accettare una situazione in cui alcuni territori ucraini rimangano de facto, ma non de jure, sotto il controllo russo.
In altre parole, l’Ucraina potrebbe scegliere di abbandonare l’opzione militare per la riconquista di questi territori, aspettando invece una soluzione diplomatica in futuro. Secondo i dati della Fondazione Ilko Kucheriv Democratic Initiatives, in collaborazione con il centro sociologico Razumkov, a dicembre 2024 il 54% degli intervistati ha dichiarato che sarebbe sufficiente che la Russia smettesse di bombardare i territori ucraini non occupati per avviare trattative di pace. Eppure, una simile decisione non sarebbe popolare e potrebbe provocare una forte reazione da parte dei gruppi di estrema destra. Alcuni militari rifiutano qualsiasi concessione territoriale e sono rassegnati all’idea di morire combattendo contro le forze russe. Le élite politiche dovranno lavorare duramente per garantire la lealtà e il rispetto di questo gruppo radicale, un compito tutt’altro che semplice – come già dimostrato dal movimento “No alla Capitolazione” tra il 2019 e il 2021 – ed è quindi possibile che il governo tenti di cooptare alcuni leader radicali offrendo loro carriere politiche.
Allo stesso tempo, esiste il rischio che si diffondano sentimenti revanscisti nella società se l’accordo di pace non porterà a un miglioramento della situazione economica e della sicurezza in Ucraina. Per molti, la giustizia è fondamentale, il che significa punizione per i crimini di guerra e un sostegno concreto a tutte le vittime. Di conseguenza, le organizzazioni paramilitari radicali potrebbero moltiplicarsi, provocando disordini pubblici e persino atti di terrore, un’eventualità resa più probabile dalla grande quantità di armi illegali in circolazione tra la popolazione. Pertanto, la firma di un accordo di pace tra Ucraina e Russia sarà solo un primo passo verso la stabilità, che rimarrà irraggiungibile senza un impegno ampio e coordinato da parte degli alleati occidentali dell’Ucraina.