Blog

  • Home

Lo stato d’animo dominante in Occidente nell’ultimo decennio oscilla tra il fatalismo e l’illusione che tutto possa essere ancora salvato – tra il “viene giù tutto” e il “non succede niente”. È un modo che pervade tanto i discorsi da bar quanto il dibattito pubblico e che ha fatto nascere una nuova disciplina: la collassologia. Alessandro Leonardi, analista politico esperto di crisi della modernità, sulla scienza della fine del mondo.

***

Nel 1983, mentre in Italia il leader socialista Bettino Craxi diventa il nuovo presidente del consiglio, il mondo rischia un conflitto nucleare fra Stati Uniti e Unione Sovietica per una serie di errori e fraintendimenti. Lo scrittore Alberto Moravia ipotizza una guerra mondiale entro 10 anni e un articolo sul settimanale l’Espresso descrive l’URSS di Jurij Andropov come un avversario temibile. Eppure, dopo appena nove anni, si sarebbe già potuto osservare uno scenario drasticamente diverso, dove il mondo sovietico è scomparso dalle mappe, il pericolo atomico è sceso ai minimi livelli e le catastrofi annunciate nei decenni precedenti non si sono mai avverate. Il capitalismo occidentale ha vinto e le élite hanno in mente unicamente la “fine della Storia”. Gli allarmi si erano basati su tesi errate? Il progresso capitalista-tecnologico ha sconfitto di nuovo i predicatori di sventura?

Nei decenni trascorsi da allora i difensori della globalizzazione felix hanno avuto gioco facile a liquidare le paure degli anni Settanta e Ottanta deridendo le opere sulle crisi finali della civiltà tecnologica, specialmente quando alcune di queste sono state miseramente sconfessate dalla realtà dei fatti negli anni successivi. Un esempio particolarmente chiaro in tal senso è il libro The Population Bomb, pubblicato nel 1968 dai coniugi Ehrlich e diventato noto per la previsione di immense carestie causate dalla crescita della popolazione – tragedie mai avvenute, nonostante l’umanità sia più che raddoppiata dagli anni Sessanta. Semplicemente, gli Ehrlich avevano sottovalutato la capacità di innovazione tecnologica del sistema industriale e non videro l’arrivo della “rivoluzione verde”, rivelatasi capace di moltiplicare le risorse alimentari su scala planetaria. Da allora il libro in questione è diventato uno dei tanti comodi strumenti per liquidare velocemente qualsiasi tesi critica verso l’attuale modello di sviluppo, bollandola come “catastrofista”. Con la fine della Guerra Fredda anche altre opere di denuncia, come il famosissimo report del MIT I limiti dello sviluppo, finirono nel dimenticatoio. La promessa al mondo del momento unipolare degli anni Novanta era fatta di democrazia liberale, capitalismo e progresso tecnologico benefico per tutti, togliendo ogni spazio agli allarmi sulla crisi climatica-ambientale – considerati nel migliore dei casi un problema momentaneo, risolvibile con più capitalismo tecnologico, e nel peggiore ridotti ad una scemenza da apocalittici.

Ma la storia non è una linea retta governata dalle “magnifiche sorti e progressive” e nessun regno dura in eterno. L’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2008, l’aggravarsi del cambiamento climatico e il moltiplicarsi delle tensioni globali negli anni Dieci del XXI secolo, hanno riportato in auge le critiche al sistema globalizzato, facendo emergere anche una nuova corrente di pensiero chiamata “collassologia”: un campo transdisciplinare che cerca di analizzare la policrisi della globalizzazione, i rischi sistemici e, per l’appunto, la possibilità di un collasso della civiltà tecnologica-industriale. Questi tipi di studi non hanno un cornice ben delineata, diversa da autore ad autore, ma il collante comune è la possibilità della fine della società così come definitasi negli ultimi tre secoli.

La collassologia nasce nel 2015 in Francia ma ha le sue basi in opere precedenti, come il saggio di Joseph Tainter The collapse of complex societies e Collasso di Jared Diamond. Con la sua ascesa nella nicchia culturale francese, e poi in quella anglosassone, numerosi pensatori hanno iniziato a riflettere su i pericolosi trend del nostro meccanismo di sviluppo, aiutati anche dal moltiplicarsi degli allarmi legati alla crisi climatico-ambientale. Rispetto ad alcuni manoscritti del passato, come la riflessione filosofica di Oswald Spengler, la nuova corrente intellettuale si è concentrata principalmente sull’analisi scientifica, sociologica, storica ed economica dei problemi posti dalla civiltà tecnologica contemporanea.   

Ovviamente una corrente di pensiero denominata con il termine “collasso” evoca automaticamente nelle persone paure, resistenze psicologiche, derisione e un rigetto, anche da parte di molti esperti, in nome del soluzionismo tecnologico. Questo rigetto è spesso alimentato anche da demagoghi, mass media e ciarlatani che approfittano delle crisi in corso per annunciare l’imminente fine del mondo, dipingendo irreali scenari catastrofici per fare audience. E il ciclico ritorno degli pseudo millenaristi, in combinazione con la degenerazione mediatica che cavalca malamente qualsiasi paura, finisce per intorbidire e occultare il dibattito più profondo sui trend del nostro sistema. 

Ma a parte questo, sono emerse nel tempo una serie di critiche ad ampio spettro contro i “collassologi” e tutti coloro che sono notevolmente pessimisti riguardo il futuro dell’umanità. Il variegato mondo conservatore li accusa di minare il capitalismo, di voler limitare le libertà economiche e personali, o di essere una riedizione del marxismo in chiave “green”. La paura paranoide di un “collettivismo pedagogico autoritario” si salda con la tutela del vecchio status quo occidentale e dei suoi rapporti di forza, rigettando qualsiasi critica al modello dominante. Invece nel consesso politico centrista e liberal-progressista, le ipotesi del collasso vengono viste come un ostacolo o addirittura come un elemento reazionario che potrebbe legittimare il ricorso a metodi violenti da parte delle élite al potere per salvarsi dalle crisi in corso. Il climatologo Michael E. Mann, così come altri pensatori, hanno ripetutamente criticato gli attivisti climatici più radicali e i cosiddetti “doomers”, ritenendoli responsabili di diffondere passività, inattivismo, informazioni errate e disperazione, e così facendo di minare gli sforzi per mitigare la crisi climatica. 

Ma il trait d’union più potente, trasversale e pervasivo fra le critiche alle tesi della collassologia, è la “fede” salvifica nel progresso tecnologico-scientifico, in un modo o nell’altro ritenuto garante affidabile di un futuro migliore. Non è semplicemente il there is no alternative thatcheriano, ma un vero e proprio pilastro concettuale della modernità che ha alimentato l’inesorabile spinta in avanti della specie, sancendo in molti adepti del “soluzionismo tecnologico” l’impossibilità di credere ad una catastrofe in grado di annientare la civiltà globalizzata. Una volta postulato l’automatico miglioramento materiale delle condizioni umane, le crisi diventano solo degli intoppi momentanei o dei “passaggi transitori” prima della nuova crescita, del nuovo avvenire positivista. Questo atteggiamento fideistico è stato aiutato anche dalla sconfitta storica di tutte le “alternative” al modello industriale-tecnologico, tanto che nessuna leadership osa metterne in discussione le fondamenta. 

Se indietro non si può tornare e le alternative non funzionano, per molti non rimane altro che abbracciare le logiche di crescita del sistema, anche se proprio queste stanno esacerbando l’instabilità del meccanismo planetario, alterando profondamente l’ecosistema e ponendo delle sfide mai viste prima dalla nostra specie. È su queste che tenta di soffermarsi la collassologia, evidenziando come per quanto siano remoti gli eventi più nefasti, la nostra civiltà può crollare rapidamente e che l’acquisizione del metodo scientifico-tecnologico non è garanzia automatica di salvezza. D’altra parte questa transdisciplina è limitata dall’impossibilità di fornire certezze temporali e di prevedere con esattezza le traiettorie del XXI secolo e l’estrema dinamicità del modello capitalistico, risultando di conseguenza alquanto nebulosa, complessa e difficile da accettare, nonostante abbia un enorme potenziale nel porre l’attenzione sui pericoli all’orizzonte. 

Le possibilità di distruggere le nostre società avanzate sono assolutamente concrete, tanto che si continua a discutere sul pericolo rappresentato dalle armi nucleari, dai “punti di non ritorno” climatici o da certi avanzamenti tecnologici. La collassologia sarà anche una pseudoscienza da liquidare con derisione, ma già il solo fatto che oggi del collasso se ne parli dovrebbe darci da pensare.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *