Attenzione, questa è la Tempolinea numero 100! Come passa il tempo quando ci si diverte. Da quando esiste, questa newsletter si è impegnata a prendere sul serio e interpretare le assurdità del mondo, dando spazio ad alcune tra le voci più interessanti in Italia e all’estero: a noi sembra di star facendo una cosa che non fa nessun altro in Italia. Ma magari ci sbagliamo, perciò abbiamo preparato un sondaggio sul nostro lavoro – fateci sapere cosa pensate di Tempolinea, così possiamo renderla ancora più figa nelle prossime 100 uscite (❤️).
Intanto, per festeggiare, questa settimana pubblichiamo un’intervista di Leonardo Bianchi a Loïc Schneider, il militante ecologista conosciuto come il “monaco del fango” diventato un meme durante le proteste di Lützerath, in Germania, che alla fine è un po’ l’anti-sciamano di Capitol Hill (con cui avevamo parlato poco più di un anno fa).
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All’inizio di febbraio di quest’anno ho ricevuto un messaggio privato su TikTok da un meme. Esatto: uno di quei meme che hanno una pagina su Know Your Meme, per intenderci. “Hey I am the Mud Wizard”, recitava il testo. Mud Wizard (“mago del fango”), è il soprannome con cui è divenuto noto un attivista climatico che nel gennaio del 2023 ha preso parte alle proteste contro l’espansione di una miniera di carbone a Lützerath, in Germania. Indossando un abito da monaco medievale e una sciarpa gialla sul volto, l’uomo era stato immortalato mentre spingeva dei poliziotti rimasti impantanati nel fango. Il video era subito diventato virale su diverse piattaforme social, dando così vita a illustrazioni e meme celebrativi del “mago del fango” (chiamato anche “monaco di Lützerath” dalla stampa tedesca). Io stesso avevo fatto un video sul mio profilo TikTok per raccontare la vicenda, raccogliendo mezzo milione di visualizzazioni.
Per diverso tempo del “mago” non si è saputo più nulla; sembrava destinato a diventare un meme esausto, legato a un momento estemporaneo. In realtà, le forze dell’ordine tedesche hanno continuato a indagare per risalire all’identità dell’uomo, e dopo più di un anno ci sono riuscite. Sotto all’abito c’era Loïc Schneider, un militante ecologista francese di 29 anni che ha preso parte a diverse proteste sia in Francia che in Germania. Per gli spintoni a Lützerath, la magistratura tedesca l’ha accusato di resistenza a pubblico ufficiale e rischiava fino a cinque anni di carcere. Il processo si è celebrato il 5 febbraio: Schneider è stato riconosciuto colpevole, ma condannato soltanto a una pena pecuniaria di 4200 euro. Dopo che mi ha scritto – probabilmente perché aveva visto il mio video e cercava di raccontare la sua storia a quanti più giornalisti possibili – gli ho risposto subito proponendogli questa intervista, che ha accettato volentieri. Per chi volesse contribuire alle spese legali, Schneider ha lanciato una raccolta fondi su GiveSendGo che si può trovare a questo indirizzo.
Sei diventato uno degli attivisti ecologisti più conosciuti al mondo. Come si è sviluppato il tuo percorso in questo ambito e quali sono le tue idee?
La mia prima grande manifestazione è stata nell’ottobre 2014, quando il militante ambientalista Rémi Fraisse è stato ucciso da una granata della polizia in Francia. Protestavamo contro la distruzione di una valle per costruire una diga destinata all’agricoltura intensiva – un progetto poi abbandonato e dichiarato illegale. In questo contesto sono rimasto particolarmente traumatizzato dalla violenza dello Stato e della sua polizia, così come dai tentativi di insabbiare la verità sulla morte di Rémi, dichiarando che era stato ucciso da una molotov che aveva nello zaino.
Da allora, ho continuato a lottare per salvare gli spazi naturali dai progetti distruttivi del capitalismo. Ho partecipato alla ZAD (acronimo di Zone à défendre, territori occupati dagli attivisti per bloccare la costruzione di opere nocive per l’ambiente, ndr) di Notre-Dame-des-Landes per fermare la costruzione di un aeroporto oggi abbandonato, e in altre due a Bure contro un più grande progetto di stoccaggio di scorie nucleari. Ho manifestato anche in Germania, perché la lotta non ha confini, e infatti il video in cui spingo un poliziotto nel fango vestito da monaco è stato girato a Lützerath, un villaggio ora distrutto per l’espansione della miniera di carbone di Garzweiler, la più grande e inquinante d’Europa.
In Francia, mi hanno identificato mentre ero vestito da monaco durante le proteste contro i mega-bacini idrici. Sono stato condannato a un anno di carcere per aver semplicemente sventolato una giacca della gendarmeria per pochi istanti e per aver scritto su un furgone della polizia in fiamme. Sono stato arrestato da un’unità antiterrorismo con una pistola puntata alla testa: cercavano il costume da monaco. Ho scontato un mese di detenzione preventiva e sei mesi con il braccialetto elettronico.
La condanna più assurda l’ho ricevuta per il G20 di Amburgo: tre anni di carcere per le manifestazioni del 2017. Ho ricevuto un mandato d’arresto europeo con l’accusa di “incendio doloso” anche se non ho dato fuoco a nulla. È stato scandaloso: 71 udienze, un anno e quattro mesi di detenzione preventiva. Solo per leggere l’atto d’accusa ci sono voluti due giorni di processo, perché mi hanno attribuito la responsabilità di tutti i danni della manifestazione. Ancora oggi questa condanna pesa sul mio casellario giudiziario e viene usata per giustificare pene più severe ogni volta che partecipo a una manifestazione. Ma per me chi continua a essere recidivo è lo Stato con la sua violenza, non io. Io non faccio altro che difendere la natura, proteggere gli altri manifestanti – e difendermi.
Come è nato il tuo travestimento da “monaco” e cosa significa per te?
Nel 2018, alla ZAD di Notre-Dame-des-Landes, volevo portare un po’ di creatività nelle manifestazioni. Durante gli scontri con la polizia, con i loro scudi e manganelli, ho pensato all’Impero Romano. Dopo aver letto gli scritti degli anarchici cristiani come Lev Tolstoj, Jacques Ellul e Ivan Illich, ho sentito il bisogno di esprimere una forma di spiritualità attraverso questo abito, per essere presente nelle lotte per la giustizia e contro la distruzione della natura.
Oltre a diventare un simbolo ecologista, sei anche diventato un meme – il “monaco di Lützerath” o il “Mud Wizard”. Come hai vissuto questa notorietà?
È successo in modo totalmente inaspettato: in quel momento non sapevo di essere filmato. Solo nei giorni successivi alla manifestazione mi sono reso conto della portata del fenomeno. Ero super eccitato, anche perché nessuno, nemmeno tra gli attivisti a Lützerath, sapeva che ero io sotto il travestimento da monaco. Avevo già trascorso sei mesi a Lützerath tra il 2020 e il 2023, fino al giorno della manifestazione. È stato bellissimo sentire tante persone parlarne e restare nell’ombra.
Poco dopo ho creato un account Twitter del “monaco”, senza rivelare la mia vera identità, postando solo qualche video con l’abito. Volevo sfruttare il clamore per diffondere messaggi politici forti, ma non ha funzionato granché bene, perché in molti cercavano di spacciarsi per il monaco e alla fine ho lasciato perdere. Un anno dopo, però, il giornale tedesco Bild ha pubblicato il mio nome e cognome, rivelando che la polizia mi identificava come il monaco e che rischiavo fino a cinque anni di carcere.
Dal punto di vista iconografico, ultimamente molte persone hanno protestato indossando costumi particolari: penso allo sciamano di QAnon, ai cosplayer, ai manifestanti vestiti da SpongeBob o con tute da animali, e così via. Cosa pensi di questo fenomeno? È un modo per attirare più attenzione sulle manifestazioni?
Penso che sia un desiderio di creatività, il coraggio di essere diversi per affermare una forma di novità. In Francia, ad esempio, ci sono stati i gilet gialli. Il successo di quel movimento è stato in gran parte dovuto anche alla sua novità: ogni persona poteva appropriarsene e contribuire a creare la storia di quella rivolta e il significato di quel gilet. Credo che sia importante rinnovarsi e costruire orizzonti che vadano oltre gli stereotipi classici, senza però abbandonare l’eredità delle lotte del passato. Ma questa eredità deve incarnarsi nel presente, non restare chiusa in una nicchia isolata dal resto della società. L’obiettivo di chi vuole cambiare il mondo è trasformare la società. E per farlo bisogna riuscire a entrare in contatto con le persone, far evolvere le coscienze, accettare il dibattito e riconoscere anche quando si sbaglia. Dopo la storia del monaco, diverse altre persone hanno iniziato a indossare questo abito durante le manifestazioni in Germania. Lo trovo interessante quando si riesce a superare l’esaltazione di un singolo individuo o di un’icona.
La maggior parte delle persone ha visto solo il momento in cui spingi il poliziotto nel fango, ma puoi raccontarci cosa è successo prima di Lützerath? Come si è arrivati a quel punto? E quali sono state le conseguenze legali?
L’espansione di questa miniera va avanti da oltre 30 anni, portando alla distruzione di decine di villaggi e di molte chiese. Persino le tombe vengono aperte per trasferire i corpi. Gli abitanti ricevono un risarcimento, ma molti rifiutano di andarsene, salvo poi essere costretti ad accettare il denaro, perché fermare questa industria sembra impossibile. Il presunto ’interesse della nazione viene prima anche della proprietà personale.
In passato una grande lotta si è concentrata attorno alla foresta di Hambach, attirando molta attenzione con manifestazioni di massa per proteggerla dai danni causati dall’estrazione del carbone. Un giornalista indipendente è morto durante quegli eventi e, dopo una mobilitazione di decine di migliaia di persone, lo Stato tedesco ha accettato di non abbattere la foresta. Oggi esiste ancora, così come la ZAD, ma senza più un vero obiettivo. Inoltre, gli alberi soffrono per la mancanza d’acqua, perché viene costantemente pompata per tenere asciutta la miniera, che supera i 200 metri di profondità.
Lützerath è riuscita a riunire un numero enorme di persone: più di 35mila hanno partecipato alla manifestazione del gennaio 2023. L’obiettivo era aiutare chi resisteva ancora sui tetti delle case e sugli alberi. C’erano persino due persone in un tunnel sotterraneo che sono riuscite a rimanere lì per giorni prima di decidere di uscire. Durante la manifestazione si avvertiva un forte desiderio collettivo di provare a liberare Lützerath dall’occupazione della polizia e fermare le macchine. È stato fondamentale condividere questa volontà collettiva di un’azione radicale ed efficace. La polizia è stata sopraffatta più volte.
Negli ultimi anni, la repressione delle proteste ecologiste è diventata sempre più violenta. Come spieghi questa tendenza?
Man mano che la consapevolezza della catastrofe climatica diventa sempre più diffusa, cresce inevitabilmente anche la critica verso gli stati capitalisti e di conseguenza, le mobilitazioni aumentano, soprattutto quando si tratta di intervenire direttamente nei luoghi dove la distruzione avviene. È lì che si scontrano aspirazioni diverse: da un lato quelle dello stato, dall’altro quelle delle persone che si ribellano. È fondamentale preservare questi spazi di confronto tra mondi opposti, perché è proprio in questi luoghi che possiamo unire orizzonti diversi con l’obiettivo comune di salvare una foresta, una montagna o un villaggio. Finché riusciremo a mobilitare grandi numeri direttamente sul campo, avremo la possibilità di ottenere sia un aumento di popolarità che una maggiore efficacia nelle nostre azioni. Mi piace molto questa citazione: “Le parole ci dividono, l’azione ci unisce”. Gli Stati intensificano la repressione perché hanno paura e vogliono evitare di perdere il controllo della situazione.
Alle elezioni europee del 2019 i partiti verdi hanno ottenuto buoni risultati, ma da allora abbiamo assistito a una crisi di questi movimenti. Cosa ne pensi?
Sono convinto che le vere conquiste arriveranno dalla base, attraverso l’auto-organizzazione e la libera associazione delle nostre esistenze. I partiti politici stanno perdendo legittimità, soprattutto quando cercano di prosperare all’interno di un sistema capitalista. Come diceva Élisée Reclus: “Votare è abdicare”. E lo spettro del capitalismo verde è sempre dietro l’angolo, soprattutto in Germania. Lì, i Verdi hanno criticato e preso le distanze dai manifestanti di Lützerath e da coloro che volevano difendere la foresta dal progetto dell’autostrada a Dannenröder Wald. Il presidente del Land responsabile di quel progetto era un Verde, e ha completamente cambiato posizione. Per convincere le persone, bisogna rimanere coerenti. E il sistema rappresentativo basato sulle elezioni non è un sistema democratico.
Emmanuel-Joseph Sieyès, subito dopo la Rivoluzione francese, nel suo discorso del 7 settembre 1789, dichiarò che “la Francia non deve essere una democrazia, ma un regime rappresentativo. I cittadini che eleggono dei rappresentanti rinunciano e devono rinunciare a fare le leggi essi stessi; non hanno alcuna volontà particolare da imporre”. Questa persona, che ha contribuito attivamente all’elaborazione del sistema politico post-rivoluzionario, ebbe almeno l’onestà intellettuale di ammettere che un regime rappresentativo non è una democrazia. Oggi, invece, la classe dirigente, per non perdere i propri interessi e non rischiare di essere travolta da un nuovo malcontento popolare, ci culla fin dalla scuola e ci ripete in televisione che viviamo in una “democrazia avanzata”. Questa formula pretenziosa vuole farci credere che siamo andati oltre la democrazia stessa, quando in realtà non l’abbiamo mai raggiunta e viviamo ancora sotto un regime rappresentativo. Io ho scelto di agire, piuttosto che abbandonare il mio potere a un rappresentante.
Con la vittoria di Donald Trump e l’ascesa dell’estrema destra in Europa, la lotta contro la crisi climatica sembra essere scomparsa. Che futuro vedi per l’attivismo climatico?
La resistenza nei luoghi in cui si manifesta l’ingiustizia e la distruzione della natura sarà sempre il miglior spazio da investire per ottenere sostegno popolare. Il nostro obiettivo è portare luce nell’oscurità, denunciare i meccanismi di corruzione e distruzione messi in atto dalle multinazionali e dai progetti statali devastanti, e mobilitarci per manifestare. La protesta deve andare oltre la mera dimensione simbolica e puntare a un obiettivo concreto. Per esempio, organizzare una grande marcia per bloccare il cantiere dell’alta velocità Lione-Torino, annunciando che quella sarà la manifestazione che decreterà la fine del progetto. Sarebbe utile coordinarsi tra Italia e Francia per stabilire un punto di ritrovo comune o, almeno, una data condivisa per assediare il progetto su entrambi i fronti. Una vittoria locale può dare forza all’immaginario collettivo e farci capire che vincere è possibile. Una molteplicità di vittorie locali può portare a un cambiamento globale. Il capitalismo in crisi ha sempre cercato di dividere i popoli, in modo che le tensioni crescessero in quella direzione piuttosto che contro i poteri finanziari. Non bisogna alimentare le divisioni, ma cercare il più possibile di convincere. Per questo motivo, ho deciso che il monaco debba essere presente su tutti i social network, anziché solo su alcuni, per raggiungere il maggior numero di persone. Ho scritto la mia dichiarazione affinché chiunque possa leggerla ed esserne toccato o convinto dalle idee.
Per finire: vedremo ancora il “Mud Wizard” da qualche parte?
Continuerò, ma forse anche altri riprenderanno l’abito e porteranno avanti la leggenda. Nel frattempo, ho lanciato una raccolta fondi per aiutarmi a coprire le spese legali e, se raccoglierò più denaro del necessario, intendo donare a mia volta a ciascun attivista che è stato ricoverato in ospedale a causa della violenza della polizia dopo la manifestazione di Lützerath. So che 14 persone sono state gravemente ferite e ospedalizzate; sono in contatto con le reti militanti locali per rintracciarle. Poiché i tribunali non condannano mai, o quasi mai, i poliziotti violenti, tocca a noi agire con solidarietà.